Oggi, con “autoproduzione”, si indica persino una pizza di farina bianca importata, impastata con acqua comunale al cloro e lievito del banco frigo, cotta in un forno elettrico alimentato a combustibili fossili da qualche centrale lontana e, infine, servita su un piatto di plastica che è a sua volta frutto di un polimero del petrolio estratto in Texas e raffinato a Genova, inquinando tutto il litorale – ma «autoproduco, ho fatto la pizza in casa!» No, non è pizza ma un disastro ecologico. Il nostro Paese, come il resto del mondo, si è convinto di essere ricco solo perché l’accesso al supermercato è garantito a tutti e l’acquisto dell’inutile è qualcosa che tutti ci possiamo permettere. Come uscire da quest’alienazione massacrante dell’ecosistema e dell’individualità? L’autoproduzione è solo una parte della soluzione e, se ben gestita, ci aiuta a non aver bisogno del circo della grande distribuzione. La soluzione comporta andare oltre, deve arrivare allo scegliere un atteggiamento mentale: la frugalità. La frugalità è godere del solo necessario, ignorando il superfluo che ci bombarda da ogni parte. Si tratta soprattutto di una frugalità mentale, di una leggerezza del pensiero e dell’azione, quella che ogni tanto mi fa scegliere di mangiare solo della frutta, perché è già lì pronta in natura. #decrescitafelice
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