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Oltre il mito della “sfiducia”. Gli elettori si fan populisti perché golosi di promesse

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Unisce la chiacchiera accademica e quella “da bar”, oltre che l’esibirsi retorico del “giornalista collettivo” nei talk (ormai sdoganati anche da Grillo, pronto all’ingresso nella Terza Camera di Bruno Vespa), l’assunto che “sfiduciati dalla politica, i cittadini, alle imminenti elezioni, lanceranno un segnale votando i partiti/movimenti populisti”.

Fortunatamente (intervistato da Marco Valerio Lo Prete, oggi su “Il Foglio”), il politologo inglese Matthew Flinder si incarica di fare chiarezza. “Le aspettative e le domande del pubblico – evidenzia l’autore di “In difesa della politica” (Il Mulino) – nei confronti del sistema politico sono divenute talmente dirette, intense e irrealistiche che il ‘fallimento’ della democrazia è praticamente assicurato”.

Semplificando: ci si rivolge ai partiti/movimenti antisistema non perché si sia esausti per le troppe promesse non mantenute, ma perché ce ne si aspetta di ulteriori e di più clamorose. Se è permessa la glossa ulteriore: anche perché si vuole godere di un’ulteriore illusoria deresponsabilizzazione. Si sceglie chi “garantisce” la palingenesi per poter dire: non è colpa mia, è il Sistema ad aver sbagliato; devo avere ciò che mi aspetto (che diventa, per effetto della lusinga populista, “ciò che mi spetta”).

Non è vero che i cittadini che volgono l’interesse elettorale verso le forze populiste vogliano più partecipazione, più identità e più appartenenza. Cercano, piuttosto, un nuovo meccanismo di delega. Un soggetto (anti)politico che consenta d’indirizzarla vedendosi riconosciuta (ma questo è già scambio politicista, solo su un altro livello) la rettitudine, la purezza. Con il concorso, manco a dirlo, di una informazione/comunicazione che – vuota com’è – fa da cassa di risonanza.

Giustamente Flinder, nella già citata intervista, rivà al concetto di “Coca Light culture” elaborato da Nathan Gardels: “Oggi il pubblico domanda servizi pubblici migliori, ma poi non è disposto a pagare imposte più alte o ad andare in pensione più tardi. E’ come voler mangiare dolciumi senza però voler ingrassare”.

Ecco che diventa chiaro che non è un problema – pur tenendo presente gli studi di Pierre Rosanvallon su questa “forma politica” – di sfiducia, ma di irrazionalistico desiderio di “delegare fiducia a narrazioni e pretese all’altezza del senso di irresponsabilità”. Una faccenda sì reattiva, ma per nulla volta a una reale “decrescita”. Non tanto una contro-democrazia, quanto una rappresentazione democraticista di un desiderio di consegna a chi “coccola l’opulenta aspettativa”.

Grillo, Le Pen, Salvini e Farage sono un “reality”. Una sfiziosità per quanti, incapaci di smettere di stordirsi con l’orchestrina del Titanic, non possono accettare il realismo quale “quotidiano eroismo”. Altro che segnale di sfiducia.

Marco Margrita
@mc_margrita

 

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Redazione Elzeviro.eu

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