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Ich bin ein Berliner

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“Duemila anni fa l?orgoglio più grande era poter dire Civis Romanus sum; oggi, nel mondo libero, l?orgoglio più grande è dire

? Ich bin ein Berliner? “.

Questa frase, passata alla storia come la più efficace e celebre di J.F. Kennedy, fu pronunciata il 26 giugno 1963 durante la visita ufficiale a Berlino Ovest.

In piena Guerra Fredda, il Presidente degli Stati Uniti d?America volle dare un incoraggiamento agli abitanti di Berlino ovest, che vivevano in una enclave all?interno della Germania Est. 

 Le parole fecero il giro del mondo e negli anni sono state spesso utilizzate come slogan o jingle di campagne pubblicitarie, manifesti, spettacoli.

 Sicuramente J.F.K., quando se le fece tradurre dal suo interprete Robert H. Lochner, aveva in mente parole di grande effetto che rimanessero indelebili per le generazioni future.

Mai, credo, avrebbe voluto che “Ich bin ein Berliner” diventasse “Siamo tutti puttane” che l?On. Daniela Santanché porta scritto su una maglietta durante la manifestazione pro-Cavaliere.

 Ho guardato con disgusto quella foto e non perché la Daniela nazionale mi stia antipatica; vi dirò, quasi quasi mi sta anche un po? simpatica ma quelle parole, prese a prestito da un Presidente degli Stati Uniti d?America, pronunciate in un delicato momento della storia universale, stravolte così, senza pietà, senza gusto, senza stile mi hanno fatto ammutolire.

 Come può un pezzo di passato così importante, così delicato, essere maltrattato tanto duramente senza che qualcuno intervenga, che difenda quella frase, che ci metta, che ne so, un copyright?

Si dovrebbe creare anche per le parole un ente che le protegga e le dichiari patrimonio dell?umanità; un WWF che le tuteli, le curi e le mantenga, che ne salvaguardi il significato originale, che non le porti ad estinguersi ma anzi a riprodursi in fretta e meglio di come sono nate.

Una onlus che non le faccia finire sulle magliette, sugli striscioni, sulle copertine di quaderni e diari; una fondazione che non le faccia diventare un brand, oggetto di selvaggi merchandising come mug per il caffè, penne e matite in vendita nei negozi cinesi.

 Frasi così potenti come quella pronunciata da Kennedy nel lontano 1963 dovrebbero conservare intatta la propria dolorosa efficacia; smuovere le nostre pigre menti, le nostre indolenti esistenze, farci riflettere sul futuro del nostro paese, sul cattivo gusto che invade ogni parte della quotidianità.

Chissà che un “Ich bin ein Italienisch” non possa salvarci dal baratro in cui stiamo sprofondando??

di Ilaria Riggio

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Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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