Chi legge scrive

Anti-italianità ed auto-razzismo: una panoramica

Condividi quest'articolo su -->

Tutti sanno che cos’è l’anti-italianità. È l’abitudine di riferirsi al popolo dello Stivale come a una massa di ignoranti, parassiti, incapaci, incompetenti, fannulloni, nel migliore dei casi marpioni dediti a tempo pieno alla buona cucina, al bere e al rimorchio di belle donne.

Autore: Filippo Nesi

Ultimamente capita spesso di ascoltare, specie in ambienti sovranisti, anche il termine “autorazzista“, che in teoria dovrebbe essere sinonimo di anti-italiano, con una sfumatura volutamente provocatoria. In realtà, questo termine è fuorviante.

L’anti-italiano non è mai autorazzista. Al contrario, parte sempre dal presupposto implicito di non far parte della normalità italica, ma di un non meglio precisato sottoinsieme di eletti separato dal resto. Una sorta di élite di prescelti, una cerchia ristretta e selezionata di eccellenze cerebrali, una crema filtrata, una riserva d’annata formatasi per separazione dalla feccia e, pertanto, naturalmente predestinata alla guida del Paese.

A rigore semantico

autorazzismo dovrebbe significare, infatti, “razzismo contro se stessi“, il che presupporrebbe un sentirsi inferiore, una bassa autostima. Niente di più lontano dalla realtà. Chiunque abbia avuto modo di discutere con un tipico anti-italiano avrà certamente tratto l’impressione opposta: quella di un individuo che ha una smisurata opinione di se stesso e non fa nulla per nasconderla.

Niente lo rende più orgoglioso che esibire spavaldamente i titoli conseguiti in una qualche università americana, i paper pubblicati all’estero, il libro che si accinge a mandare all’editore, il numero di citazioni o le posizioni che ha ricoperto in una qualche multinazionale. Oppure ti ricorderà, senza che nessuno glielo abbia chiesto, che ha investito i suoi risparmi in Bund o in qualche fondo lussemburghese, perché lui, ovviamente, non si fida del sistema bancario italiano e attende, con aria compiaciuta, che l’Italia faccia default per avere la conferma di quanto stupidi siano gli italiani e quanto scaltro e intelligente sia lui.

E tutto questo lo farà preferibilmente

nel bel mezzo di una discussione in cui si trova a corto di argomenti, per dirti, in sostanza, che i tuoi grafici e i tuoi dati, ancorché ufficiali e inattaccabili, non contano nulla. No, perché la verità non si dimostra con le evidenze e con gli argomenti, ma con i titoli e i riconoscimenti. Un dogma, quello del titolo, che ogni anti-italiano è costretto a difendere con le unghie e con i denti da quando esistono quelle maledette reti sociali, che hanno «dato la parola a legioni di imbecilli» (cit.).

Da qui il ricorso ossessivo a espressioni come “analfabeti funzionali“, “capre”, “scappati di casa” e tutto il resto degli epiteti ingiuriosi divenuti ormai press’a poco sinonimi di italiano medio estromesso dal Gotha dell’epistemocrazia.

L’anti-italiano ha per natura una presunzione illimitata di chiaroveggenza. Si sente depositario, insieme a pochi altri, della verità assoluta ed è convinto che tale superiorità si evidenzi quanto più riesce a dimostrare la sua diversità rispetto all’italiano medio. L’idea, insomma, è che quanto più un italiano è de-italianizzato, tanto più apparterrebbe a una presunta élite sovranazionale di illuminati, che condividerebbero tra loro gli stessi valori globali. Italiano sì, ma solo di nascita. Cittadino del mondo per scelta.

Si capisce bene

ora perché l’anti-italiano sia sempre anche uno strenuo difensore dell’Unione Europea e della globalizzazione. Non già perché le conosca veramente o abbia mai riflettuto fino in fondo sulle conseguenze che esse hanno portato nella vita di tutti i giorni. Ma perché rappresentano il suo sogno di fuga dall’italianità. L’anti-italiano ha un bisogno irrefrenabile di annullarsi in un qualcosa di più grande del suo Paese di origine, perché essenzialmente è proprio di quello che si vergogna.

No, non ha nulla contro l’identità culturale o religiosa. Per quella altrui, ad esempio, è pronto a scendere in piazza e a immolarsi in nome del multiculturalismo. È la propria identità che gli crea imbarazzo. È quella che vorrebbe vedere cancellata per sempre. Analogamente i confini non gli creano nessun problema fintanto che non sono quelli italiani. Non lo senti mai alzare la voce quando altri Paesi vicini chiudono i loro porti o le loro frontiere. È l’Italia che dovrebbe aprirli illimitatamente. Vorrebbe, in sostanza, che l’Italia diventasse la proiezione del suo paesaggio mentale. Un paesaggio in cui l’Italia è sempre meno popolata da italiani. Perché questo, di per sé, la renderebbe migliore.

Nessun autorazzismo, dunque

Nessun vero sentimento di inferiorità. Al contrario, l’anti-italianità va di pari passo, se mai, con il razzismo puro e semplice, senza “auto-” davanti. Con la presunzione di rappresentare un’élite differenziata che merita di decidere per tutti gli altri. Élite, a seconda dei casi, culturale, accademica, scientifica, finanziaria, a volte tutto questo insieme.

Ha a che fare con la volontà di distinguersi dalla plebe, di differenziarsi dagli sfigati, dai “perdenti”, da tutti quelli non ce l’hanno fatta. Chi è senza patentino non dovrebbe votare, li senti dire ultimamente, dando per scontato che loro lo riceverebbero d’ufficio. O perché hanno i titoli o perché mettono i Mi piace a uno che ce li ha. Perché l’anti-italiano ha assorbito e fatto propri tutti i dogmi del liberismo globalista, anche quando finge o si illude che non sia così, ad esempio nascondendosi dietro una bandiera rossa o un altro simbolo di una sinistra ormai inesistente.

È più spocchioso

e, non di rado, più arrogante di un aristocratico del Settecento. Mentre l’aristocratico faceva derivare il suo senso di superiorità dal sangue, l’anti-italiano è convinto, infatti, che il successo dipenda unicamente dal merito. Nel fallimento e nelle difficoltà altrui trova la conferma della sua presunta superiorità, ma anche la conferma che questo è il migliore dei sistemi possibili, perché seleziona “naturalmente” i più bravi e scarta gli inutili e i falliti.

E lui si sente parte di questa epistemocrazia globale. Si annovera compiaciuto in questo brodo ristretto intercontinentale, in questa selezione sovranazionale di teste, formata solo dai “migliori di ogni dove“. Gli piace pensarlo e farà di tutto per farti sentire una nullità. Non perché gli interessi qualcosa di te, ma perché è ossessionato dal bisogno di dimostrare a se stesso che è qualcuno e conta veramente qualcosa.

Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni

Condividi quest'articolo su -->
Lorenzo Franzoni

Nato nel 1994 a Castiglione delle Stiviere, mantovano di origine e trentino di adozione, si è laureato dapprima in Filosofia e poi in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Trento. Nella sua tesi ha trattato dei rapporti italo-libici e delle azioni internazionali di Gheddafi durante il primo decennio al potere del Rais di Sirte, visti e narrati dai quotidiani italiani. La passione per il giornalismo si è fortificata in questo contesto: ha un'inclinazione per le tematiche di politica interna ed estera, per le questioni culturali in generale e per la macroeconomia. Oltre che con Elzeviro.eu, collabora con il progetto editoriale Oltre la Linea dal 2018 e con InsideOver - progetto de il Giornale - dal 2019.

Recent Posts

Rai 3: che sarà…ma soprattutto in che mani siamo già!

Il 27 sera scorso Rai 3 ha mandato in onda una puntata della trasmissione serale…

3 mesi ago

Gli Israeliani hanno la Memoria corta

Come si fa a non rivolgere un pensiero, nella giornata della memoria delle vittime dell'Olocausto,…

3 mesi ago

Gli avvoltoi hanno fame

"Gli avvoltoi hanno fame" e` il titolo di un film western diretto da Don Siegel…

9 mesi ago

L’Inefficacia dell’elettrico, dal consumo energetico all’estrazione non etica del litio

Alla luce della visita in Italia del magnate della mobilita` elettrica, l'eclettico Musk, occorre fare…

11 mesi ago

Quei 50 milioni di Gheddafi a Sarko

A distanza di 5 anni dall'arresto di Sarkozy, e di dodici dai bombardamenti avallati dall'ex…

1 anno ago

Intervista: l’invasione inefficace dell’Afghanistan

A più di vent'anni dall'invasione dell'Afghanistan, i Taliban ancora comandano nella regione. Non sarebbe stato…

1 anno ago