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Non è mai piacevole prodigarsi in accuse o analisi critiche nello stesso momento in cui i soccorsi stanno estraendo cadaveri ancora caldi dalle macerie, oppure quando parenti ed amici stanno piangendo i loro cari, incolpevoli vittime di un’immane tragedia.

Tanto più quando la vulgata massmediatica va a rincorrere in modo sguaiato le responsabilità in ogni misera dichiarazione riportata dai media nell’ultimo decennio su tale ponte: i catastrofisti che dicevano che sarebbe crollato, gli ottimisti che gli davano, sospettosamente, cent’anni di vita.

Tuttavia, quando si materializzano disgrazie di simili proporzioni, dovute alla reiterata incuria delle istituzioni nei confronti degli interessi collettivi, sorge spontaneo riflettere su determinati meccanismi ed interrogarsi sulle responsabilità. Si tratta di un atto dovuto e non di speculazione o mancanza di rispetto.

Per ora, ci limitiamo ad osservare come il drammatico crollo del ponte Morandi imponga una riconsiderazione (e magari un passo indietro) rispetto alla vulgata messianica degli ultraliberisti, secondo la quale il sistema di privatizzazioni del settore pubblico, porterebbe un automatico ed inestimabile miglioramento nella qualità dei servizi. Fatto peraltro già ampiamente confutato nei campi della sanità e dell’istruzione.

Ricordiamo inoltre che sarebbe del tutto inutile, se non addirittura irrispettoso, formulare messaggi di cordoglio e, parallelamente, continuare e propugnare tesi avverse ad un intervento statale, ai fini del rispetto dei parametri europei, del rapporto deficit/PIL e del pareggio di bilancio.

Lo stato deve ritornare a tutelare la sua struttura portante: i cittadini. E per farlo deve tornare a pianificare un sistema di welfare funzionale a questo obiettivo. Cosa che, senza una piena sovranità economica e politica e con il fiato sul collo degli strozzini di Bruxelles, non sarà mai possibile.

La Grecia, la sua impossibilità di garantire l’accesso ai farmaci, il suo tasso di mortalità infantile, i suoi incendi e la sua protezione civile ridotta all’osso -il tutto in nome dell’austerità- dovrebbero insegnare.
Stato sociale e settori strategici gestiti da uno stato libero e senza tenaglie, significano sicurezza.

Tra le brume che avvolgono la devastazione desolante, intanto, si scava, per riesumare più di trentacinque corpi rovinati nel vuoto per decine di metri, prima di schiantarsi sulla solida realtà del pressapochismo interessato nel quale langue la nostra Repubblica.

Sciagure su sciagure, in questa estate, si rincorrono. Da Bologna, alla Puglia, e ora questo. Attendiamo corrucciati, ma soprattutto inermi, in un atavico silenzio, il rintocco delle campane e le bandiere a mezz’asta di un’Italia franosa e sgretolantesi: fisicamente, politicamente, e come entità statale.

klement, freddie

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Redazione Elzeviro.eu

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