Di solito le battaglie si svolgono tra Stati, tra due schieramenti di simile natura, ma dagli obiettivi opposti.
Oggi la natura dello scontro è cambiata completamente, le entità statali iniziano a soccombere, ahimè, sotto le spinte globaliste (che in altri tempi avremmo definito imperialiste) di fortissimi gruppi industriali extranazionali.
Parigi non è più il salotto europeo sede delle più importanti decisioni politiche a livello mondiale, oggi è una formica messa a confronto con il colosso americano di Google. La diatriba sorge da una richiesta da parte degli editori di nazionalità francese, i quali si sarebbero rivolti al Ministro della Cultura Amelie Filippetti.
Tale richiesta consiste nell’introduzione di una leggera tassa che i motori di ricerca dovrebbero pagare nell’utilizzo indiretto dei contenuti degli editori francesi. Senza dare giudizi di valore rispetto ad una così coraggiosa proposta ricordiamo tuttavia la libertà di qualsivoglia Stato di poter promulgare la propria legge secondo le richieste della popolazione. Tuttavia il gruppo Mountain View (quello di Google) se ne infischia letteralmente del principio di autodeterminazione legislativa del popolo francese e minaccia i “galli” di oscurare tutti i siti dei media francesi dal proprio motore di ricerca.
Immediata la replica del ministro Filippetti:” Sono un po’ sorpresa dal tono di questa lettera, che somiglia ad una minaccia. Non è con le minacce che si tratta con un governo democraticamente eletto.”
Google è subito passato alle maniere forti perché è ben consapevole della difficile piega che prenderebbe la situazione se si andasse attraverso le vie legali: il diritto internazionale dell’economia, infatti, risulta parecchio lacunoso quando tratta cause tra aziende private con sede all’estero ( ma che in questo caso operano sul territorio nazionale) e uno Stato. La lotta è impari, il coltello dalla parte del manico ce l’ha sicuramente Google, ma Parigi fa bene a resistere, la libertà va difesa con le unghie e con i denti.
di Gabriele Tebaldi
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