Il ministro per l’integrazione, ma forse è il caso di dire per la “disintegrazione”, Cecile Kyenge incontra oggi alcuni rappresentanti delle minoranze gitane (rom, sinti, eccetera) per discutere di pari opportunità, ma, neanche a dirlo, non di pari diritti.
Questo buonismo alla melassa del ministro vorrebbe anche che gli italioti fossero disposti ad aiutare la comunità rom ad ottenere case vere (anziché le luride baracche che a costoro stanno piuttosto a cuore) e addirittura a reperire loro lavoro. La proposta, che sembra che scenda da un’altra galassia per l’inopportunità della stessa, è quella di affittare le seconde case ai nomadi. Alla faccia dell’integrazione: costoro, senza documenti o con centinaia di documenti pro capite, hanno un’identità vacua che li rende non perseguibili, pertanto affittare loro una casa appare una vera e propria puttanata, caratterizzata da una visione mondialista e comunista che non possiamo che respingere con sdegno.
Quello che Kyenge non riesce proprio a comprendere è che ai Rom, la loro attuale condizione di vita, comprendente la vita nelle baracche, i furti, gli scippi, la vita in un campo attrezzato di biliardo, comodità e topi, garba come non mai. Nei comuni più lassisti costoro godono gratuitamente di acqua, luce e gas: tutti i servizi per vivere nelle loro bidonvilles circondati dagli oggetti di lusso misteriosamente reperiti.
La cosa che dovrebbe più che altre indignare è il razzismo all’incontrario professato dall’italocongolese nei confronti degli stessi italiani, considerato che ormai l’Italia ha toccato la cifra del 30% di disoccupazione.
I Rom vivono già di un lavoro: il commercio del rame, oltreché, ça va sans dire, dei furti che operano quotidianamente in tutte le zone della città nelle quali si muovono senza pagare pedaggio alcuno, esentati da guidatori che fanno costoro montare sui mezzi pubblici come se nulla fosse, pur sapendo che un biglietto, i Rom, non sanno nemmeno come sia fatto.
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