Affari di Palazzo

L’intercettazione di Siri che (forse) non esiste

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Secondo uno scoop de La Verità, il Corriere della Sera avrebbe pubblicato un’intercettazione priva di riscontro all’interno dei fascicoli della procura romana. Si profila un Caizzi bis?

 

Cronache di un copione già letto? Ennesima rivelazione rivisitata ad hoc? Un’altra scorrettezza professionale destinata a rimanere ignorata ed impunita? Ancora non possiamo saperlo con certezza e così sarà fino a quando le indagini sul caso di presunta corruzione che coinvolgono Armando Siri non volgeranno al termine (con una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio). Quel che è certo intanto, è che sulle prime pagine dei quotidiani italiani, si sta svolgendo un vero e proprio contraddittorio preliminare sulla consistenza delle prove a carico del sottosegretario leghista.

Un contraddittorio mediatico che, come dicevamo, è destinato a rimanere sterile quasi quanto un battibecco tra comare fino al momento in cui le procure non usciranno allo scoperto, ma che impone una considerazione preliminare: gli estremi per nutrire un pizzico di malizia, ci sono già. Il tutto a causa di un precedente illustre, nonché abbastanza recente, con connotati strutturali molto simili al caso in questione.

 

Il precedente “illustre”

Il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana

Il riferimento va ad un evento di cui questa testata – assieme a poche altre invero – si è occupata nell’ultimo mese di Gennaio e che ha visto scontrarsi gli stessi schieramenti scesi in campo nelle ultime ore: da una parte gli organi d’informazione antigovernativi (in principio ossequiosi nel propalare falsità e successivamente ammutoliti di fronte alla scoperta delle loro trame) e dall’altra quelli filogovernativi (puntuali e solerti quasi più per opportunità politica che non per dovere di cronaca).

Allora fu l’ammutinamento Ivo Caizzi a destare clamore. Lo storico corrispondente del CorSera chiese pubblicamente al suo direttore Fontana di motivare la linea editoriale adottata nei mesi precedenti, rispetto alla trattativa tra Italia e Commissione europea sulla legge di bilancio; il quotidiano di Via Solferino in quella occasione, decise di concedere ampio credito agli scoop di Federico Fubini e agli spettri di una presunta procedura d’infrazione, ignorando smentite decisamente più autorevoli ed affidabili, le quali al contrario lasciavano presagire un futuribile compromesso. Compromesso che, inutile dirlo, venne raggiunto di lì a poco.

L’estratto galeotto

Oggi come allora, gli unici quotidiani ad essersi eretti contro il muro compatto dell’informazione liberal sono stati La Verità (portatrice dello scoop) ed Il Fatto Quotidiano: in maniera più energica il primo – data la sua trazione filoleghista – e con toni decisamente più vaghi e possibilisti il giornale di Travaglio, assecondando in questo modo la natura giustizialista della sua platea.

Ma partiamo dal principio. Negli scorsi giorni, il clero mediatico socialdemocratico ha prodotto una narrazione delle vicissitudini giudiziarie di Siri  smaccatamente colpevolista, il cui apice è stato rappresentato dall’estratto di un’intercettazione pubblicata sempre dal Corriere della Sera. Un virgolettato in cui l’imprenditore Arata rivelerebbe al figlio l’esistenza di una tangente già corrisposta al sottosegretario dei Trasporti, finalizzata ad ottenere provvedimenti di legge favorevoli in materia di incentivi per il settore “mini eolico”

 

Lo scoop de La Verità

E proprio nei confronti del suddetto passaggio, si è scagliata l’ira de La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro infatti, senza propugnare tesi innocentiste nei confronti di Siri, ha voluto screditare i colleghi del Corriere, rendendo pubblica la confessione di un anonimo inquirente della procura romana, il quale negherebbe (il condizionale nel bel mezzo di questo ginepraio è ancora rigorosamente obbligatorio) l’esistenza dello scorcio di intercettazione incriminato.

Certo, nonostante la dinamica degli eventi  – unita alla natura recidiva del rotocalco di Fontana – non possa esentare dai sospetti, i dati in nostro possesso impongono tanta cautela e pochissima disinvoltura. Insomma, ai posteri l’ardua sentenza della magistratura, ma se dovesse essere cassata  la narrazione del Corriere, alcune riflessioni diventerebbero obbligatorie: in primis quella sul ruolo dell’Ordine dei giornalisti, oramai sempre più assente in materia di reprimende a tutela dell’etica professionale.

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Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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