Il giochetto è molto semplice. 1. Per mantenere la competitività in un Paese con una moneta non svalutabile bisogna comprimere i salari. 2. L’italiano mediamente istruito, però, a lavorare con salari da fame non ci vuole giustamente andare.
Quindi. 3. L’economia viene sistematicamente depressa con l’austerità e il lavoro precarizzato, creando occupazione instabile e disoccupazione di massa. Condizioni ottimali per obbligare molti nuovi poveri ad accettare il ricatto del lavoro sottopagato.
4. I salari bassi impoveriscono complessivamente il Paese e deprimono la domanda interna. Facendo crescere la necessità di aumentare la quota di beni prodotti in Italia da esportare all’estero. Rafforzando così il punto 1 (ma anche il punto 2).
5. Per evitare tensioni e rivolte sociali (e nell’attesa di poter riprendere la politica dei tagli) diventa urgente erogare una misura come il reddito di cittadinanza. Una piccola somma mensile a tutti quelli che ancora non si riesce forzatamente a collocare, finanziando il provvedimento con le tasse di quelli che ancora lavorano.
6. Ma in un contesto simile, per molti disoccupati, emigrare o percepire il reddito di cittadinanza rimangono opzioni decisamente migliori che lavorare 10 ore al giorno e senza tutele per una misera paga. Il “sistema Paese” resta senza manovalanza e rischia di “saltare”.
8. L’enorme afflusso di lavoratori immigrati, però, alimenta un diffuso sentimento di intolleranza soprattutto nelle periferie abitate da quei disoccupati, un tempo lavoratori più o meno benestanti, adesso in aperta concorrenza (al ribasso) con i nuovi arrivati.
9. Questa avversione viene abilmente sfruttata dalle élite dominanti che la etichettano prontamente come razzista e xenofoba. Una narrazione efficacissima per instillare nella popolazione un diffuso senso di colpa funzionale a proseguire indisturbata l’importazione di manodopera a bassissimo costo, giustificata dalle sempre più urgenti esigenze del Paese.
Ora, il problema è che tutta questa storia (che ci si guarda bene dal raccontare per come realmente è) viene presentata come una condizione emergenziale da affrontare senza possibilità di scelta. Ma l’economia e la produzione (e quindi l’occupazione e il sistema pensionistico) si possono sostenere anche in modo diverso.
Ad esempio finanziando massicciamente la spesa pubblica e nuovi piani industriali. Misure utili a creare nuovi posti di lavoro, aumentare la domanda interna, la produzione e quindi i salari (rendendo così sostenibile il debito pubblico), reperendo agevolmente nuove risorse per le casse statali e il pagamento delle pensioni. Ma non lo si fa. Perché?
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