Chi l’ha detto che ad un’emozione negativa, debba corrispondere un polo opposto insindacabilmente positivo? Chi l’ha detto che un sentimento generico, istintivo e poco raffinato come la xenofobia, debba per forza vedere nella xenofilia incondizionata il suo vaccino, il traguardo a cui ambire, o la sua nemesi angelica?
Di sicuro, non è un’elucubrazione di Giordano Stagnati, il capotreno della tratta Cremona-Brescia licenziato per “comportamento non consono alla sua figura professionale”. O meglio, licenziato per aver apostrofato con l’epiteto “negro di merda” il passeggero senegalese che lo ha aggredito, malmenato e derubato durante un controllo.
Di sicuro, non può essere l’aforisma di chi, ad una già mesta condizione occupazionale e salariale e ad una pensione che non sappiamo quando vedrà, ha dovuto aggiungere un’altra gigantesca umiliazione. Umiliazione causata, giustappunto, da un eccesso di xenofilia.
Questo Stato, dopo aver creato una guerra tra due categorie di poveri disperati (gli autoctoni e gli allogeni), ha anche formulato le regole di un gioco al massacro che ammira da sadico spettatore. Conducendo i suoi cittadini ad un’omologazione culturale fondata sul cosmopolitismo, sulla globalizzazione, sull’accoglienza illimitata e sulla profonda idiosincrasia verso la propria identità, ha semplicemente dato un piccolo vantaggio ad uno dei due concorrenti e decretato quale soccomberà per primo. Ma è solo un palliativo, perché dopo i locali toccherà anche ai forestieri morire di povertà ed indifferenza.
Nella società neofeudale in cui scomparirà la classe media, aumenterà il tasso di indigenza e le risorse saranno sempre concentrate nelle mani di meno persone, moriremo tutti. E lo faremo mentre i pochi privilegiati superstiti ingrasseranno e rideranno sui nostri cadaveri. Alla faccia delle baggianate delle quali ci avevano convinto, mentre loro gozzovigliavano e noi ci avviavamo verso il crepuscolo.
Filippo Klement
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