Lo scoop portato alla ribalta da Sherif el Sebaie (giornalista, mediatore culturale e storico consigliere del Comune di Torino) offre lo spunto per un parallelismo tra due fatti di cronaca – minori – avvenuti nell’arco di questo funesto anno domini 2020.
Un raffronto, quello che seguirà, paradigmatico e pedagogico allo stesso tempo. Un vero e proprio esempio scolastico utile ad evidenziare le nozioni e i meccanismi che regolano quell’atteggiamento culturale dominante, noto ai più come politicamente corretto; nonché un modo per individuare le giuste contromisure.
Sembra ieri che una soubrette dall’insignificante peso intellettuale scherniva Giovanna Botteri per via del suo guardaroba monotematico, suscitando uno tsunami di indignazione in seno al mondo – più o meno – femminista. All’epoca si parlò di body shaming (nella colonia americana l’inglese ricopre il curioso ruolo di amplificatore della percezione del crimine), ma la sostanza non cambia.
Qualche giorno fa invece Paola Pessina, una professoressa di religione dall’inequivocabile impegno politico-filantropico e di tendenze dichiaratamente progressiste, ha sfornato un bignè di solidarietà di genere nei confronti del più apprezzato (opinione dei sondaggi, non di redazione) leader politico donna di questo paese.
Giorgia Meloni sta diventando calva. L’eccesso di testosterone oltre che cattivi fa diventare brutti.
Certo, ci si sente quasi in colpa nel dare risalto a polemiche tanto asettiche, mentre si assiste inermi alle notizie catastrofiche di pandemie e deflagrazioni che giungono da ogni angolo del mondo. Cionondimeno, è proprio attraverso la costruzione di queste polemiche ed il tendenzioso filtro mediatico che la nostra autonomia di giudizio viene minata di giorno in giorno.
La crudeltà e l’impudenza con cui una donna in possesso di quello specifico retroterra politico (ex sindaco dem di Rho) si accanisce su presunto deficit fisico di Giorgia Meloni, esulando completamente dal merito del dibattito parlamentare, sono solo l’ennesima prova documentale della truffa culturale in atto.
Il politicamente corretto non è altro se non uno strumento di ricatto orchestrato dai custodi del pensiero dominante nei confronti delle masse da indottrinare. Una vile atto di bullismo privo di coerenza, somministrato con assoluta inflessibilità nei confronti dei nemici e magicamente accantonato quando a macchiarsi dell’indicibile “crimine” sono gli amici.
D’ora in poi quando sentirete parlare di body shaming, hate speech e di tante altre declinazioni dal retrogusto cosmopolita, ricordatevi che non ci credono davvero: staranno solo cercando di screditare – o esorcizzare – qualche povero bifolco che ha osato contraddirli.
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