Il rischio non è di poco conto. Attualmente Erdogan, che dichiara che nessuno può fermare le forze turche ad Afrin, si può permettere interventi militari di peso, mentre Assad subisce attacchi esterni da più parti e le valorose truppe siriane (con alleati) corrono a destra e sinistra per tamponare e, tutto sommato, riconquistare terreno. L’esercito siriano è inoltre provato dalle perdite, in munizioni e soldati, conseguenti all’invasione del Califfato.
Ancorché sconfitto dopo una guerra di anni che si è trascinata alle porte della casa del presidente Assad, l’Isis non è scomparso. La formazione del fu Al Baghdadi, infatti, si ripropone sullo scenario della guerriglia con sacche di resistenza che vanno riformandosi di quando in quando, distraendo l’esercito governativo dalle inveterate di vicini come Israele e, appunto, la Turchia. Si veda il recente raid israeliano a Damasco, che curiosamente non ha suscitato lo sdegno della Comunità internazionale.
Non si può giudicare se sia una scelta saggia aiutare i curdi, sedotti ed abbandonati dai protettori americani che, grazie a loro, hanno posizionato basi militari in Siria, in evidentente violazione di tutte le norme del diritto internazionale.
Vedremo cosa accadrà, mentre il conflitto rischia ogni giorno di deflagrare ed i media anche in Italia lo ignorano volutamente perché curdi e “ribelli”, spesso dolci protetti di certi media globalisti, le stanno buscando…
Una cosa resta tuttavia incontrovertibile: Afrin (e tutto il resto del paese occupato da terroristi) è territorio siriano ed è compito di Damasco quello di tenerlo sotto controllo. Non certo di Ankara, né, tantomeno, di Washington.
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