Esteri

India: dalla repressione degli agricoltori alla morte della democrazia

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L’autunno scorso, il governo indiano ha approvato una riforma destinata a stravolgere gli ingranaggi di un paese costituito al 70% da famiglie di agricoltori. Da allora i contadini sono in rivolta contro la nuova disciplina agraria, accusata di favorire le multinazionali a discapito dei piccoli produttori.

A settembre il governo di Narendra Modi ha approvato tre nuove leggi di stampo liberista, che rivoluzionano il settore agricolo. La compravendita di prodotti non è più legata a prezzi prestabiliti, al contrario si è introdotta la piena libertà di contrattazione dando di fatto al mercato il potere di autoregolamentarsi.

Questo ha fatto il favore delle grandi multinazionali che operano nel paese. A rimetterci sono stati invece i piccoli agricoltori, decisamente maggioritari nel paese. In India la popolazione rurale rappresenta il 58% per cento della popolazione e i piccoli e medi proprietari terrieri valgono per l’80% sul totale.

La presa del Forte Rosso di Delhi

 

Dopo l’approvazione delle leggi liberiste, l’insofferenza è montata fino a degenerare in scene da guerriglia urbana. Le forze armate sono state chiamate ad arginare la rabbia dei manifestanti, sfociata in episodi di violenza.

In diverse occasioni ci sono stati pesanti scontri con esercito e polizia, come nei giorni scorsi, quando migliaia di manifestanti hanno occupato il Forte Rosso, monumento della capitale patrimonio Unesco. La cittadella rossa costruita in epoca Mughal è stata vandalizzata dai manifestanti, riportando danni evidenti e non ancora quantificati dalle autorità.

 

Tuttavia, non sono i danni alla Forte Rossa a preoccupare, bensì lo stato della democrazia nel paese. Il bilancio ufficiale dall’inizio degli scontri di settembre parla di 147 contadini morti per la violenza delle forze dell’ordine, ma all’appello mancano decine di altre persone scomparse.

Il governo indiano fino ad ora, invece di impegnarsi a fare luce sull’accaduto, sembra mettere ancora più a rischio la situazione con altre gravi minacce alla libertà del popolo indiano.

La decisione del governo di tagliare internet

Eppure, per sedare le proteste popolari non sono bastate né le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, né l’intervento dell’esercito. Il governo nazionalista di Narendra Modi infatti, ha deciso di ricorrere ad un taglio alla rete web e ai cellulari in molte zone della capitale, Nuova Delhi. Le compagnie di telecomunicazioni locali hanno ammesso di aver sospeso i servizi su ordine del governo.

Il ministero degli Interni indiano, per giustificarsi, ha affermato che la mossa era “nell’interesse di mantenere la sicurezza pubblica e di evitare l’emergenza pubblica”. Tradotto, si è voluto togliere ai manifestanti agricoli il modo di comunicare tra loro. Questo ha suscitato indignazione un po’ in tutto il mondo e molti vip internazionali, come Rihanna, hanno puntato i riflettori sulle tensioni in India, appoggiando gli agricoltori.

Lo stato critico della democrazia indiana

Anche i manifestanti hanno dimostrato la loro rabbia. Un agricoltore, Sandee Sharma, ha accusato i funzionari di cercare di “creare panico” mentre un altro, Bhavesh Yadav, ha detto che in questo modo “si sta uccidendo la democrazia“. Infatti, la sospensione della rete internet, non è una mossa inedita da parte delle istituzioni indiane.

Secondo l’Internet Shutdown Tracker, che monitora i blocchi nell’accesso a internet, solo nel 2019 ci sono stati ben 95 tagli alla navigazione web in India. Una pratica che non si è limitata a quell’anno, come mostrano i fatti degli ultimi giorni, e che sta contribuendo a far precipitare il paese nelle classifiche globali sulla qualità della democrazia.

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Andreea Sbiera

Studentessa al terzo anno di Innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie presso l'Università di Torino.

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