Esteri

Il prezzo del petrolio indigna più del conflitto yemenita

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Malgrado l’ONU abbia definito la guerra civile nello Yemen “la più grave crisi umanitaria del secolo”, grandi potenze, comunità internazionale e media, hanno conferito nel tempo un risalto marginale alla carneficina perpetrata dai sauditi. Uno spartito radicalmente diverso, rispetto alla partecipazione mostrata dopo gli attacchi alle raffinerie del più “prezioso” alleato americano.

 

Da quattro anni in Yemen si sta consumando una sanguinosa guerra civile, la quale, grazie alla longa manus dell’Arabia Saudita, ha prodotto migliaia di morti e più di tre milioni di sfollati. Un bilancio già sufficientemente drammatico di per sé, sebbene non tenga conto di una carestia di cibo e farmaci senza precedenti, dovuta – in via quasi esclusiva – a quelle sanzioni economiche tanto in voga nell’imperialismo dal volto umano, caratteristico dei nostri tempi.

Il più cruento conflitto del secolo tuttavia, non ha mai suscitato particolare attenzione (né tantomeno indignazione, figurarsi) tanto nelle amministrazioni statali, quanto nella comunità internazionale, o nei media; o perlomeno, non ha mai creato una polarizzazione proporzionale alla tragedia umanitaria in atto nel sud della penisola araba.

Al contrario, agli stessi attori appena elencati, sono stati sufficienti un paio di missili su una raffineria saudita per dare in scalmane, paventando crisi diplomatiche e venti di guerra tra Usa e Iran (principale indiziato dell’attacco secondo yankee e monarchi del golfo), placati solo parzialmente da un Trump con gli occhi ormai francobollati sulle elezioni del 2020 e con un Bolton in meno alla sua destra. Il che, in simili frangenti, può rivelarsi una defezione provvidenziale.

Come già ampiamente acclarato da una moltitudine di casi paradigmatici – ultimo in linea cronologica, ma non certo per importanza, quello della crisi siriana – la politica estera e gli addetti ai lavori, si dimostrano adepti di un unico ed inderogabile principio: due pesi e due misure. Nello specifico, i pesi e le misure funzionali alla narrazione occidentale e a quella dei suoi preziosissimi alleati con il portafogli imbevuto di oro nero e le mani immerse nel sangue dei civili inermi; il quale, si sa, sin dall’alba dei tempi, indigna meno di un’impennata del prezzo di un barile.

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Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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