Facebook e gli altri social network si stanno incamminando sulla strada del Big Brother orwelliano
In questi giorni due scoop americani hanno messo in serio dubbio la questione della privacy. Prima il Guardian per cui l’operatore telefonico e provider statunitense Verizon ha dovuto cedere alla Nation Securiry Agency per tre mesi l’accesso ai dati telefonici che regola.
Poi il Washington Post è il programma Prism in grado di estrarre dati di vario genere come foto, video, audio, email, documenti e connessioni da 9 server di altrettanti grandi colossi del Web. Tra i nomi: Microsoft, che ha collaborato al programma Prism, Google, Facebook, YouTube, Apple, Yahoo.
Il New York Times rincara la dose. Non solo i cittadini americani sono spiati nelle loro telefonate e sul Web. Il loro DNA sta venendo schedato da diversi centrali di polizia. Sia chi abbia commesso qualche reato, sia chi potenzialmente potrebbe compierne.
Uno scenario al limite di Minority Report e di 1984. Non molto diverso dalle intercettazioni telefoniche degli anni ’70.
Il Datagate sta mettendo in serio difficoltà il concetto di privacy. La privacy centra solo quando si parla di coniugi gelosi?
E dei signori del Governo americano che ascoltano le telefonate dei loro concittadini e osservano tutto ciò che fanno in Rete, indipendentemente dall’essere o meno criminali, non è violazione della privacy?
Oppure c’è qualcosa in nome del quale la privacy può essere messa da parte? Cosa? Il terrorismo? Il crimine? Nemici troppo generici che sono ovunque e da nessuna parte.
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