Quante volte ci siamo sentiti dire che i tassi di interesse li decidono “i mercati”, le nuove divinità del nostro tempo, e che i governi non possono fare altro che cercare di compiacerli per mezzo delle suddette politiche, offrendo loro in sacrificio tagli e riforme strutturali, pena il default?
D’altronde – ci dicevano – è perfettamente normale che sia così: sul mercato dei titoli pubblici, come su qualunque altro mercato, è l’incontro tra domanda e offerta a determinare il prezzo. È la legge del mercato, bellezza! Anche perché – ci dicevano – se “i mercati” non comprano più i nostri titoli, poi sono guai: si va dritti verso il default!
Quante volte ci siamo sentiti dire che se i tassi salivano era perché non eravamo “affidabili” o perché avevamo un debito pubblico eccessivo?
che ci hanno imposto per farci ingoiare la macelleria sociale di questi anni. E per convincerci che i mercati, alla fine della fiera, contano più della democrazia. Tutti ricorderanno il terrorismo mediatico che si scatenò intorno all’aumento dello spread ai tempi dell’elezione del governo gialloverde, tanto per fare un esempio.
Peccato che le cose non funzionino così. I tassi di interesse non li fissano i mercati; li fissa la banca centrale. Ed è facile intuire perché: tra i “consumatori” di titoli di Stato che influiscono sulla domanda finale – e dunque sui tassi di interesse – c’è anche la banca centrale, che anzi è il “consumatore” più potente di tutti, visto che è l’unico che può creare dal nulla tutta la moneta di cui ha bisogno. Che ha, per così dire, un arsenale illimitato.
Ed è per questo che può tranquillamente fissare il tasso di interesse al livello che vuole: perché se i mercati si rifiutano di sottoscrivere i nuovi titoli emessi al tasso di interesse fissato dalla banca centrale, quest’ultima può sempre comprare i titoli essa stessa (come faceva la Banca d’Italia prima del famigerato “divorzio” del 1981).
non ha neanche bisogno di intervenire direttamente nelle aste (cosa che non fa praticamente nessuna banca centrale) per determinare il tasso di interesse; gli basta intervenire sul mercato secondario, dove ci si scambiano i titoli già emessi e se ne determina così il tasso di rendimento, che a sua volte influisce sul tasso di interesse dei titoli di nuova emissione. Che è esattamente quello che fanno tutte le banche centrali, inclusa la BCE: aumentando la domanda sul mercato secondario, fanno scendere i rendimenti e dunque i tassi di interesse.
La scorsa settimana la BCE ce ne ha dato una dimostrazione lampante. Nel pomeriggio, infatti, la BCE ha annunciato che aumenterà di 600 miliardi di euro il programma di acquisti di titoli di Stato. Quasi contemporaneamente, il rendimento (e dunque il tasso di interesse) sui titoli di Stato italiani a dieci anni è sceso in modo verticale dall’1,5 all’1,4 per cento, come si può vedere nell’immagine.
Quale dimostrazione migliore del fatto che i tassi di interesse che paghiamo sul debito pubblico sono sotto il controllo effettivo della banca centrale e non dei famigerati “mercati”?
se lo volesse, la BCE potrebbe tranquillamente portare i tassi di interesse dell’Italia a zero, come stanno facendo le altre banche centrali del mondo. Ma a quel punto sarebbe più difficile giustificare ulteriori cessioni di sovranità per mezzo del MES o del Recovery Fund. Infatti la BCE si limiterà a fare quello che ha sempre fatto: tenere i tassi abbastanza bassi da scongiurare una crisi finanziaria ma abbastanza alti da indurre gli Stati a trasferire ulteriore sovranità alla UE. Ma si tratta di una scelta politica, non tecnica.
È impossibile non pensare a quanta sofferenza, quante morti si sarebbero potute evitare in questi anni (pensiamo solo agli effetti devastanti dei tagli alla sanità, anche alla luce della recente pandemia) se solo si fosse riconosciuta questa banale verità, invece di utilizzare lo spread come manganello per bastonare interi popoli.
Ovviamente questa banale verità i nostri governanti la conoscono benissimo. E allora chiedetevi perché in questi anni vi hanno raccontato – e continuano a raccontarvi – l’esatto opposto.
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