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Federico Fubini, che non si tira mai indietro ogni qualvolta c’è da esaltare le virtù dell’attuale premier, si è avventurato ieri sulle pagine del Corriere nell’arte della futurologia, arrivando a ipotizzare che Draghi stia lavorando alla riscrittura del Patto di stabilità, mentre anche a Berlino e a Parigi si starebbe ragionando su “nuove idee”.

di Filippo Nesi

Il presupposto implicito da cui parte Fubini è che Draghi, in quanto figura “credibile” e rispettata a Bruxelles, dovrà per forza in qualche momento far sentire la sua voce e sarà per forza ascoltato e assecondato. Peccato che i segnali che arrivano da settimane da Bundesbank, Banca d’Olanda, Austria, CDU e in generali dai Paesi nordici siano di tutt’altro tenore.

Non appena sarà finita la pandemia (e questo significa essenzialmente quando la Germania tornerà a livelli di crescita ritenuti accettabili), finirà anche la pacchia (PEPP in primis) e con essa torneranno i rigidi vincoli di bilancio che già si applicavano prima del Covid.

Al massimo si potrà sperare in un’estensione della PEPP se la Francia stenterà a rimettersi in piedi (sappiamo che la Lagarde non è insensibile agli interessi del suo paese di origine).

L’europeismo è una malattia

che si caratterizza essenzialmente per la difesa di un’istituzione (l’UE) e di un sistema economico (l’Euro e la BCE) che si sa essere fragili, limitati (e pure ingiusti) proiettandoli continuamente in un futuro immaginario, in cui si trasformeranno magicamente in una confederazione sul modello degli USA, con un debito comune e politiche di bilancio comuni e condivise.

Esattamente il contrario di quanto i paesi nordici hanno dimostrato di volere finora, eppure ci si ostina a credere che un giorno sarà necessariamente così “perché deve essere così”. Detto in parole diverse, l’europeismo sopravvive unicamente sostituendo continuamente l’utopia alla realtà, il futuro al presente, la Soll-EU alla Ist-EU.

 

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Redazione Elzeviro.eu

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