La situazione di Alitalia è da sempre discussa e criticata per gli innumerevoli e piuttosto dispendiosi soccorsi prestati per evitare il collasso della compagnia di bandiera. La polemica si è riaccesa a seguito dell’ennesimo copioso stanziamento, ma questa volta nel bel mezzo di una pandemia. Mentre le aziende che realmente producevano crollavano, con il Decreto Rilancio veniva consegnato l’ultimo pacchetto di aiuti – un pacchetto di 3 miliardi – ad un’impresa che negli ultimi decenni ha accumulato soltanto debiti e perdite.
“Sommiamo i 3 miliardi a quanto Alitalia è già costata allo Stato e alla collettività in 45 anni. Il punto di partenza è lo studio di Mediobanca, che ha calcolato in 7,4 miliardi i costi diretti di Alitalia dal 1974 al 2014. Quel valore aggiornato a oggi è pari a 7,62 miliardi.
Aggiungiamo i 75 milioni versati da Poste a fine 2014 per l’operazione Etihad, i 900 milioni «prestati» nel 2017 dal governo di Paolo Gentiloni, si arriva a 8,6 miliardi, più 145 milioni di interessi, non rimborsati”
Le compagnie low-cost e i treni ad alta velocità, con praticità e prezzi competitivi hanno infatti monopolizzato il settore, a discapito di un player come Alitalia che ha mantenuto una struttura troppo pesante per poter competere con il nuovo business model.
L’intervento pubblico per salvare una società che ha un valore strategico è giustificabile poiché una compagnia di bandiera rappresenta una componente necessaria per uno stato solido. Proprio per questo la considerazione verso una azienda così rappresentativa avrebbe dovuto riflettersi in un organo apicale all’altezza e garantire una più idonea e responsabile gestione.
Secondo le previsioni sarà operativa dall’inizio del 2021 e il piano industriale prevede inizialmente circa 90 aerei e 6.500 dipendenti. La strategia della nuova società si concentrerà sui voli fuori dall’Italia e dall’Europa discostandosi nettamente dall’ex compagnia aerea di bandiera.
O almeno così dicono. Noi per sicurezza aspettiamo a mettere il portafogli in tasca.
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