Nel 2005 a Faro (Portogallo) viene introdotta la “convenzione quadro” del Consiglio Europeo, in pratica una bomba ben infiocchettata. Viene presentata come “il Signor trattato sui beni culturali”, a tal punto da scomodare definizioni quali “rivoluzione del patrimonio artistico” e gettare nella mischia i soliti termini utili ad ammansire i media e silenziare la critica: democrazia, dialogo e diritti.
Tutto questo incartamento, apparentemente colorato e invitante, nasconde tuttavia una caramella marcia. La convenzione Faro è infatti una trappola, nient’altro che l’ennesima imposizione contro la sovranità degli Stati; con la non trascurabile differenza rappresentata dalla libertà di scelta: in quell’occasione, potevamo dire di no. Una reazione arrivata oggi dall’Italia che, dopo ben quindici anni, si sveglia a scoppio ritardato..
Il problema non è nella ripetizione pedissequa dei principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo; e neanche nel fatto che si sprechino trenta pagine per descrivere ovvietà, come:
La convenzione,
a. riconosce che il diritto all’eredità culturale è inerente al
diritto a partecipare alla vita culturale
b. riconosce una responsabilità individuale e collettiva nei
confronti dell’eredità culturale
c. sottolinea che la conservazione dell’eredità culturale, ed il
suo uso sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la
qualità della vita
Il vero male si nasconde negli articoli 4 e 7. Il primo, sempre contornato da altre frasi retoriche ed edulcorate, afferma: “l’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà“.
La Convenzione sembra suggerire che qualsiasi individuo, di qualsiasi cultura e religione, se offeso davanti ad un opera d’arte, dovrà sentirsi nel giusto. Se il Michelangelo ha dipinto troppi nudi, non sarà il puritano a doversi chiudere gli occhi e uscire dalla sala, ma i nudi a doversi coprire: altro che democrazia.
L’articolo 7 invece, allunga il piedino sotto il tavolo in maniera delicata, parlando di procedure di conciliazione e di rispetto dell’etica. Ci si chiede ovviamente in cosa possa consistere tutto questo, il patrimonio culturale italiano dovrà essere sottoposto ad una sorta di mediazione con l’offeso?
Il Paese con il più alto numero di siti UNESCO sul pianeta Terra, si affida ad un comitato del Consiglio Europeo. Comitato che monitorerà l’applicazione della Convenzione, autorizzata a definire le modalità di svolgimento della sua missione e che stabilirà delle norme di procedura.
Quali altri Paesi del Consiglio hanno aderito? L’Armenia, il Montenegro, Portogallo, Ucraina, Serbia. In totale 19 e sì, quasi tutti dello stesso calibro. Francia e Germania? Nessuna traccia.
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