Mi pare infatti si iscriva nell’attuale contesto di deterioramento dell’attività sindacale e della sempre più forte insofferenza da parte del padronato industriale verso le rivendicazioni che arrivano dal basso e che in sindacati confederali non riescono a riassorbire e non di rado, spiace dirlo, ad annacquare.
Si tratta dell’onda lunga del marchionismo, ovvero della lotta senza quartiere ai lavoratori e ai loro diritti, alimentata non solo dalle associazioni delle imprese, ma anche dalla politica che coltiva da anni il mito dell’imprenditore buono portatore di progresso, i cui interessi particolari debbono essere eletti a istanze generali per il bene del paese e dell’economia nazionale.
Oltre alla regressione della vita sindacale, c’è un’altra questione che va presa in esame. Per il momento si tratta solo di un timore non suffragato da prove sufficientemente solide per dare luogo a un giudizio netto.
Mi riferisco alla saldatura che negli ultimi tempi si sta verificando tra la destra reazionaria e l’establishment neoliberista, il quale ha in larga parte colonizzato il Partito democratico, ma che da un po’ di tempo a questa parte mira a riposizionarsi sul fronte opposto, dove del resto conserva un forte presidio nella Lega di Salvini.
In vista delle elezioni questa convergenza potrebbe diventare strutturale e consolidarsi ulteriormente con il partito di Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia è del resto un partito privo di una piattaforma politica e di un gruppo dirigente di livello nazionale.
È un partito post missino che vagheggia un ritorno al pensiero di Almirante, ma possiede solo parzialmente le qualità intellettuali e politiche per ritradurre quel pensiero nell’attuale contesto economico e sociale.
Sul piano ideologico una vittoria di FdI porterebbe certamente alla ribalta vecchi temi propagandistici o ispirati a un moralismo becero, votato all’omofobia, a rigurgiti machisti e a un nazionalismo sguaiato. Se questo scenario provoca orrore, è lecito aspettarsi anche di peggio.
FdI ha tutte le carte in regola per farsi interprete del marchionismo e sostenere l’opera di distruzione definitiva delle istanze sindacali fiancheggiando quel mondo dell’impresa che intende sbarazzarsi anche con le cattive di chi osa far valere il diritto allo sciopero. Se Almirante appartiene al passato, Marchionne vive ancora nei cuori di molti imprenditori del nord pronti a passare alla destra meloniana.
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