Le aziende esportano di più, macinano profitti e questi vengono reinvestiti; nello specifico, reinvestiti in acquisizioni all‘estero, andando a creare una nostra global chain value, che a sua volta, aiuta a tenere il saldo delle partite correnti in forte attivo. Il tutto, nonostante il chiaro rallentamento del commercio con l’estero che fa sì diminuire il nostro attivo sulla bilancia commerciale ma che viene ampliamente compensato dall’aumento dell’afflusso dei redditi primari nel saldo delle partite correnti.
Una mossa vincente (sebbene, mai dimenticarlo, tragicamente costosa dal punto di vista sociale) quella del cambio di politica economica imposta da Monti,che sta dando buoni risultati fino ad ora. Stiamo esattamente facendo quello che hanno fatto i tedeschi, ma purtroppo con dieci anni di ritardo.
E questo pone ancora di più in evidenza l’errore fatto da tutti i governi dall’atto dell’entrata nell’Euro fino al 2011: credevano che esistessero i capitali europei e che dunque fosse del tutto indifferente avere il saldo delle partite correnti in forte passivo, per concentrarsi sull’insignificante riduzione del rapporto debito/Pil (senza tener conto che si questo si stava riducendo ma al costo di far aumentare il nostro debito estero).
Per quanto riguarda il futuro forse ci accorgeremo che siamo arrivati tardi, quando la festa sta per finire; non più l’enorme reticolo di global chain value a livello mondiale che sognavano i liberali ma due diversi reticoli: quello facente capo agli Stati Uniti d’America e quello facente capo alla Cina. Bisognerà scegliere a quale treno agganciarci. Sperando di non sbagliare.
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