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Rispetto per le istituzioni sì, ma a corrente alternata

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L’eleganza semantica pareva requisito imprescindibile per criticare gli organi istituzionali. La polemica tra Salvini e Saviano però, ci dice che con il nuovo esecutivo sembra cambiato qualcosa.

Non v’è dubbio che il rispetto nei confronti delle istituzioni, nel momento in cui diventa inderogabile ed incondizionato, finisca per subire una metamorfosi involutiva: quella che trasforma un principio o un valore in un limite. Un limite verso lo spirito analitico, una gabbia per ogni sorta di approccio critico. Un processo che, inevitabilmente, conduce ad un bavaglio alla libertà di espressione. In sostanza, una deriva che nessuno auspica, soprattutto nell’epoca in cui indipendenza ed autonomia di pensiero si stanno sgretolando sempre più, appiattendosi inesorabilmente in favore di un modello globalista sempre più dominante.

Il rispetto, come ogni altro sentimento, non può essere imposto dall’alto, ma deve essere guadagnato sul campo, con il supporto di parole ed azioni.

Ciò nonostante, all’interno dell’annosa -e francamente, pallosissima- diatriba tra Salvini e Saviano, occorre soffermarsi su alcune importantissime sfumature; onde evitare di liquidare la vicenda con la superficiale chiave di lettura da “bianco o nero”, molto in voga tra politici, intellettuali e professionisti della carta stampata.

La sensazione di una linea di discontinuità

L’autore di Gomorra (che continueremo a chiamare così, nonostante vi sia una sentenza passata in giudicato che imporrebbe un ridimensionamento di questo titolo) è più che legittimato a criticare Salvini se non ne condivide opinioni o ricette politiche, ci mancherebbe altro. E naturalmente, la nuova carica ministeriale ricoperta dal segretario della Lega non cambia la sostanza.

Tuttavia, come si suol dire, “c’è un però”. Peraltro, neanche troppo irrilevante. Un però che non riguarda solo ed esclusivamente Saviano, ma tutta quella corrente intellettuale che lo supporta e di cui risulta essere uno degli esponenti più autorevoli. Che poi è anche quella che fagocita e tiene ostaggio dei suoi dogmi culturali il 90% dell’informazione italiana, ma questa è un’altra storia.

L’obiezione a cui si fa riferimento concerne una questione di coerenza che si palesa di fronte ad una ormai acclarata linea di discontinuità rispetto agli ultimi anni. Anni in cui il sopracitato rispetto per le istituzioni ha rappresentato una vera e propria scure, la quale, facendo leva sull’asprezza –vera o presunta- dei toni, ha reso molto spesso inappropriata ogni critica rivolta ad esponenti dell’area progressista.

Il caso della “presidentA”…

Un esempio su tutti, è quello fornito dalla politica di tolleranza zero perpetrata da Laura Boldrini nell’arco del suo quinquennio alla guida di Montecitorio. “La PresidentA” e tutte le formazioni massmediatiche a lei affini, hanno spesso fatto un uso strumentale della condizione di donna e di mamma (un po’ come Salvini che parla sempre da papà, prima che da ministro) per silenziare preventivamente ogni critica al suo operato e scongiurarne l’analisi nel merito. Un terrorismo psicologico verso tutte le obiezioni e le opinioni dissidenti, utilizzando come casus belli qualche insulto stomachevole dei tanti leoni da tastiera che molestano, più o meno, chiunque possieda un minimo di celebrità.

…e di Mattarella

Un modus operandi non così difforme da quello messo in pratica quando Mattarella ha deciso di opporre l’ormai celeberrimo veto a Paolo Savona, durante le consultazioni propedeutiche alla formazione del governo Conte. In quel frangente, un singolo post nel quale si augurava al Presidente della Repubblica una fine analoga a quella del fratello Piersanti, è bastato alla polizia postale per placare ogni forma di disapprovazione, minacciando forti controlli ed esposti alla magistratura. Il tutto ha generato, neanche a dirlo, un clima di infallibilità presidenziale. Un po’ come se ogni analisi critica verso quella scelta (che resta opinabile sia eticamente, sia costituzionalmente) fosse considerata alla stregua di un atto di lesa maestà nei confronti della prima carica dello stato.

Nuovo esecutivo, nuove abitudini

Saviano ha recentemente definito Salvini, divenuto nel frattempo Ministro dell’Interno, non solo buffone e crudele, ma addirittura “ministro della malavita”. Epiteto un po’ avventato e con tutti i requisiti in regola per una querela per diffamazione: ma non è questo il punto. Nessuno teme che lo scrittore campano sia diventato legibus solutus.

Piuttosto, ciò che produce un inevitabile senso di disorientamento è l’eclatante vizio di coerenza integrato da esponenti politici ed organi di informazione con il loro assordante silenzio a riguardo. Gli stessi soggetti che per un’intera legislatura hanno propugnato tesi e sostenuto omelie pedagogiche, con le quali si presentava la sobrietà semantica e lessicale come unico approccio possibile per muovere una qualche critica nei confronti delle istituzioni.

Valori che evidentemente, diventano più flessibili del previsto quando parte in causa è l’autore di Gomorra. Oppure, accogliendo le indicazioni contrarie della Corte di Cassazione, l’autore in omessa compartecipazione.

Filippo Klement

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