La libertà di stampa in Italia è certificata ai livelli più bassi del Burkina Faso. Un esempio recente.
C’e` una generazione di ex liceali a cui negli anni Novanta era stata promessa una via professionale in grado di recuperare la tradizione umanistica nei settori del giornalismo, della ricerca di mercato e della pubblicità.
L'Analisi del professor Paolo Desogus
Gli esiti occupazionali sono stati sin da subito molto modesti. Per completarela formazione post laurea sono allora nati i master per tecnico dell’informazione, le scuole di giornalismo, i diplomi in comunicazione d’impresa, comunicazione sociale, comunicazione medica, comunicazione della comunicazione, comunicazione de ‘sta cippa. Si è insomma sviluppato un business colossale di corsi privati per pochi privilegiati o per i figli di quelle famiglie disposte a investire una parte dei propri risparmi e così realizzare la promessa di un mestiere dalla parvenza intellettuale, capace di dare un posto nel mondo a quei ragazzi più portati allo studio delle materie umanistiche o comunque affascinati dai mestieri come il pubblicitario e il giornalista.
I master che “fanno network”
Forse l’istituzione di Scienze della comunicazione nel 1992 era indispensabile proprio per arginare la nascita di queste scuole private. I risultati non paiono tuttavia molto esaltanti e, anzi, bisognerebbe avere il coraggio di dire che sono disastrosi, dagli effetti addirittura antropologici.
La ricerca disperata di un posto nelle agenzie dell’industria culturale, i numerosi compromessi compiuti per ottenere il contatto giusto, le cifre esorbitanti spese dalle famiglie per un lungo periodo di formazione, la competizione esasperata e alimentata dall’iper cinismo della retorica meritocratica hanno prodotto un esercito di tecnici sottomessi alle logiche del mercato e intellettualmente umiliati anche a dispetto della sicumera positiva e brillante con la quale sono costretti a valutare la propria condizione.