Il capitalismo, la globalizzazione e il “produci, consuma, crepa” hanno incanalato il nostro stile di vita verso i binari dell’individualismo e dell’arroganza più radicale. A tal punto da far dubitare che l’uomo moderno, a differenza di quanto avvenuto nel corso dei secoli, possa ancora trarre un insegnamento dalle catastrofi.
di Andrea Zhok
E’ proprio vero che la storia e la vita ti sorprendono sempre. Se le linee di sviluppo dell’epidemia in corso dovessero continuare con lo stesso andamento dell’ultima settimana, tra due mesi vivremmo in un mondo del tutto diverso da quello che abbiamo conosciuto. Impareremmo qualcosa?
Di solito le catastrofi naturali nella storia rammentano all’uomo alcune cose semplici, che dovrebbe sempre coltivare: la propria fragilità di individuo, la necessità e bontà della collaborazione con gli altri, il rigetto della propria hybris, dell’idea di dominio illimitato sul mondo, sulla natura, sugli altri. Ma l’uomo odierno è ancora capace di percepire queste cose semplici? Ne dubito.
Il vortice dell’informe forma di vita che ci siamo creati sfoca ogni cosa e ci rende ciechi. Abbiamo creato un sistema che ha bisogno per vivere di divorare qualunque cosa attorno a sé, con ritmi crescenti e orizzonti illimitati di consumo, movimento, asservimento. E per alimentare questa fornace abbiamo inventato una lotta all’ultimo sangue, legalizzata, di tutti contro tutti, finanche di ogni individuo contro sé stesso.
Ciò che accade potrebbe essere una grande occasione per pensare e ripensarsi, ma è più probabile che ad un certo punto si decida che la fornace debba essere alimentata comunque, costi quel che costi, che qualunque costo umano sarà alla fine un sacrificio necessario perché la fornace continui a incenerire ogni cosa, perché lo spettacolo possa continuare.