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Le manifestanti dell’Otto marzo lottano contro i mulini a vento

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Il femminismo originario ha condotto a diverse ed insindacabili conquiste. Giunte queste a livello legale, le lotte di strada avrebbero dovuto arrestarsi per portarsi ad un piano politico e giuridico che le garantissero effettivamente.

Sopra tutto però, per fare metabolizzare all’italiota medio le importanti espugnazioni raggiunte, le battaglie per l’eguaglianza dei sessi avrebbero dovuto svilupparsi su un piano culturale, che ha invero latitato assai.

Di fatto la lotta delle suffragette è spirata, ma sopravvivono residuati anacronistici e velleitari. Ora, in occasione della manifestazione dell’Otto di marzo si organizzano, ma sarebbe meglio dire s’inscenano scioperi.

Probabilmente si può comprendere l’empatia di genere, ma l’assentarsi dal lavoro per uno sciopero su basi che non ineriscano la propria azienda, il proprio lavoro, ma un concetto così generico e già tutelato dalla costituzione, è riprovevole e non si può pretendere che ciò costituisca una valida giustificazione. Si tratta di una lotta contro i mulini a vento. Una “resistenza”, ma a cosa? Al solito, al vecchio, e allora quali vetusti modi sono questi di manifestare?

Quelli che oggi urlano per l’ottenimento degli “stessi diritti” sono solo sporadici manifestanti che vieppiù inneggiano all’ “antifascismo militante“, persone che pensano di avere una qualche primazia culturale o, peggio, di diritto, nel difendere i diritti dei più deboli.

Invero ciò per cui, spesso nemmeno consapevolmente, questi ultimi manifestano, è il nocciolo del femminismo moderno e metabolizzato, ossia, in ordine sparso: l’impoverimento del vocabolario per declinare al femminile ogni parola, perché il vocabolario è maschilista e così non va bene (sic),  la produzione di donne indifferenziate rispetto agli uomini e dunque aventi come obiettivo l’indipendenza economica e non la maternità. L’Italia quest’anno ha perso 20 mila italiani mai nati, l’anno prima 15mila, in un trend deprimente.

L’idea è che ci debba essere una scelta tra l’indipendenza economica e la maternità, e non che la prima debba essere preferita alla seconda, pena trattarsi di donne retrograde e fasciste. Si noti che tale è l’idea che si lascia passare oggidì in questi raduni faceti. Non differenziare significa, qui e in ogni luogo, ancora, discriminare.

Un tipo di manifestazione che si può condividere sarebbe stata, nominato ieri il presidente della FIGC di nuovo il vetusto Tavecchio, che aveva apostrofato il calcio femminile (che pure presiede) come un’accozzaglia di lesbiche, andare “a farsi notare” davanti alle finestre della federazione calcistica, con ché non si vuole assolutamente indurre al reato, ma solo dimostrare empatia, sul serio, con tutte le donne.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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