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Se la Cei si fa partito, i cattolici contano di più?

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La destra italiana pare essersi fatta, in opposizione alle dichiarazioni sull’immigrazione ma anche contro la centralità del profitto, anticlericale. Smessi i panni gentiloniani, Forza Italia si mostra sempre più laicista e pascaliana (tendenza Francesca, Blaise non c’entra). Più seria la Lega, che distingue tra Bergoglio e i presunti bergogliani, cercando di allacciarsi al realismo dei mai troppo compianti Biffi e Maggiolini, senza distanziarsi da una visione antropologica che su educazione, famiglia e vita la mantiene in trincea sui “principi non negoziabili”. Certo con qualche deriva cristianista e poca capacità di comprendere che il dovere dell’accoglienza non esclude, anzi legittima, una gestione politica della partita dell’immigrazione.

Il discusso (e discutibile) interventismo del segretario Cei Nunzio Galantino (di cui non si può, però, non apprezzare la lezione odierna al Meeting riminese di Comunione e Liberazione) svolge sicuramente una funzione di disintermediazione, aprendo a un ruolo direttamente politico della Chiesa. Una prassi giustamente ricollegata da Marcello Pera, in un’interessante intervista sul Corsera di qualche giorno fa, alla Teologia della Liberazione.


Straparlare di “ingerenza vaticana”
, come in troppi nell’asfittico e feltriano centrodestra fanno, è ridicolo oltre che sbagliato. Certamente, però, mai come in questa stagione i laici cattolici impegnati in politica hanno avuto, nei fatti sconfessati e sostituiti dai ciarlieri Pastori, così poca incidenza. In questo contesto fa sorridere il plauso che larga parte di quelli che si dissero “cattolici adulti”, per poter ignorare il Magistero sulla delicata partita biopolitica, rivolgono alla Cei che si fa partito. E’ forse il prezzo che ritengono di dover pagare alla sconfessione galantiniana della mobilitazione contro il gender, lo snaturamento del matrimonio e della famiglia.

E’ il tempo questo, se non si vuole clericalizzare il laicato, costretto alla “scelta religiosa” mentre i Vescovi compiono una “opzione politica”, di una nuova generatività (sturziana e degasperiana, verrebbe da dire). Trovando – lo scrivevamo già qualche tempo fa – una nuova unità sociale, senza ridurre la politica a tecnica del la conquista di porzione di potere. Urge, in sintesi, un forte cattolicesimo-popolare che non abbia paura di essere (almeno al momento) extraparlamentare. Facendosi unione elettorale o movimento popolare capace di opportuni entrismi

L’azione politica è laica e ha una sua necessaria autonomia. Questa evidenza è stata strumentalizzata da quanti hanno voluto, già nel cinquantennio democristiano, far deragliare il “mondo cattolico” verso posizioni ancellari all’egemonia dei progressismi. Oggi è il tempo che siano questa rivendicazione sia fatta creativamente propria da quanti, con G.K. Chesterton, sono consapevoli che “non abbiamo bisogno, come dicono i giornali, di una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo”.

Qualcosa di più decisivo del “partito dei Vescovi”. Quello che il pragmatico Ruini, che mai fu banalmente “vescovo pilota”, non volle nemmeno dovendo fronteggiare la diaspora seguita alla fine della Democrazia Cristiana (fine su cui anche l’episcopato di quegli anni non è senza colpa, ma di questo parleremo magari un’altra volta).

Marco Margrita
@mc_margrita

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Di Redazione Elzeviro.eu

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