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Mario “Cremino” Zicchieri, un sedicenne assassinato dai brigatisti rossi

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Ci scrive Ronny Dentice
 

Ho 16 anni e il mio nome è Mario Zicchieri. Ho 16 anni, il mio nome è Mario Zicchieri, ma i Camerati e gli amici mi chiamano Cremino. Abito in un appartamento del quartiere Prenestino di Roma, con i miei genitori e le mie due sorelle più piccole. Frequento la scuola Eastman e sono al terzo anno del corso per odontotecnici. Sono iscritto al Fronte della Gioventù e frequento la sezione di via Erasmo Gattamelata, un vero e proprio baluardo dei giovani del MSI circondato da territori politicamente ostili a dir poco. La settimana scorsa mi sono recato con il mio amico Marco, missino anche lui, a raccogliere le firme per una petizione popolare, in merito all’istallazione di impianti di illuminazione nel nostro quartiere. E’ il 29 ottobre 1975 e a scuola c’è sciopero. Ieri sera sono stato a cena con alcuni Camerati, per preparare un volantino in ricordo di Sergio Ramelli. Sergio era un ragazzo poco più grande di me che viveva a Milano, assassinato la scorsa primavera a colpi di chiave inglese da un commando di Potere operaio. Anche qui a Roma tira una brutta aria. Sotto casa mia sono apparse le scritte “Fascisti a morte” a firma Avanguardia operaia, ma è il clima che si respira giornalmente in questi anni e non ci faccio caso più di tanto. Sto lavorando al ciclostile in sezione quando, con Marco, veniamo chiamati fuori da altri missini amici nostri per apprezzare delle ragazze carine che transitano lì davanti. Nessuno di noi si accorge che a pochi metri dal marciapiede della sezione è accostata una macchina con il motore acceso, una Fiat 128 verde targata Roma M 92808. Dall’auto scendono due persone che si avvicinano e aprono il fuoco su di noi con fucili a pompa. Veniamo investiti da una pioggia di pallini. Sono il primo a essere colpito, alle gambe e al pube, e cado a terra. Poi viene colpito Marco, per fortuna in maniera molto meno grave. In pochi secondi sono sdraiato in un lago di sangue. Mi soccorre il tappezziere della bottega a fianco della sezione, cercando invano di tamponare il sangue e arrestare l’emorragia. Un aviere di passaggio, che ha assistito alla scena, rincorre con la sua auto quella dei killer, ma deve desistere quando dall’auto in fuga spuntano le armi dai finestrini e vengono puntate minacciose su di lui. Vengo trasportato in ospedale, ma ci arrivo ormai clinicamente morto. Due giorni dopo, nel pomeriggio, si svolgono i miei funerali, nel mio quartiere, nella chiesa di San Leone Magno. Da via Erasmo Gattamelata giungono in corteo centinaia e centinaia di persone, guidate da Giorgio Almirante, Teodoro Buontempo e Gigino D’Addio. Tra i tanti striscioni e cartelli esposti in chiesa c’è quello del Fronte della Gioventù su cui è scritto: “Mario aveva sedici anni, voleva vivere, voleva cambiare questa sporca Italia”. Un manipolo di provocatori arrivati da via dei Volsci cerca a più riprese di disturbare la cerimonia, senza riuscirci. Dopo il funerale partono i nostri, tentando di sferrare l’attacco al Ministero degli Interni e alle sezioni più vicine del Pci e di Lotta continua. La situazione degenera in scontri. Passano gli anni e arriviamo al 1982. Durante il processo alle Brigate rosse per il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, Emilia Libera, un esponente pentita del gruppo eversivo, dichiara che quelli che mi hanno ammazzato lo hanno fatto per essere promossi brigatisti. I nomi indicati sono quelli di Bruno Seghetti, Germano Maccari e Valerio Morucci detto Pecos, tutti implicati nel sequestro Moro. I loro nomi vengono confermati da altri brigatisti, tra i quali Antonio Savasta. Per il mio omicidio, a carico dei tre indiziati, viene emessa una richiesta di giudizio per omicidio premeditato. Il verdetto della seconda Corte d’Assise di Roma viene emesso nel febbraio 1986, ed è di assoluzione piena per gli imputati per non aver commesso il fatto. L’aviere testimone oculare dell’agguato non è stato mai ascoltato dalla Corte. Meno di un anno dopo nel processo di secondo grado la pubblica accusa chiede ed ottiene l’assoluzione per insufficienza di prove e a settembre dello stesso anno la Cassazione boccia il ricorso
Avevo 16 anni, il mio nome era Mario Zicchieri, i Camerati e gli amici mi chiamavano Cremino ed attendo invano giustizia. I miei assassini sono in libertà e camminano tra noi…

Ronny Dentice

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Di Redazione Elzeviro.eu

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