Una volta era, per definizione, quel pezzo di terra martoriata e arida, che separava due forze opposte, che si fronteggiavano. Una terra intrisa del sangue di entrambe le parti.
Pochi giorni orsono è stato presentato uno studio dell’ ufficio economico della Cgil che prende, come punto di partenza, il contesto attuale.
A scorrere i dati sembra di essere in uno scenario da “the day after”. Lo studio afferma come solo tra 63 anni si tornerebbe ai livelli occupazionali del 2007. Dobbiamo aspettare quindi il 2076, ammesso che la ripresa riparta dal 2014.
Un po’ più breve il percorso del Pil, destinato a tornare sui livelli del 2007 tra 13 anni.L?Europa, in un contesto di recessione come quello attuale, si muove a due velocità. Due velocità molto differenti fra loro. La velocità delle banche, dei mercati monetari e la velocità della società.
La prima, caratterizzata dal rigore monetario, che siamo costretti ad attuare per una politica economica ingessata da regole troppo strette e molto spesso troppo distanti dalle realtà dei singoli Stati membri.La seconda, quella che interessa forse la maggior parte dei comuni mortali, è la velocità della società.
Questa a sua volta va a due velocità.
La prima quella della società dei consumi, sfrenata, senza regole, caratterizzata dai social climber, disposti a tutto pur di affermarsi, molto spesso a spese del prossimo.La seconda della gente comune, per capirci gente da 1.000 ? al mese. Pensionati, lavoratori che quello che guadagnano gli deve servire per arrivare alla fine del mese.
Ebbene, di questi lavoratori, la Sicilia, ne ha tanti, tantissimi.Sono quelli cresciuti all?ombra del voto di scambio e alla ricerca di un lavoro nella loro terra, dalla quale, a torto o a ragione non si sono voluti allontanare.
Oggi abbiamo visto sfilare per le strade di Palermo, l?ennesimo corteo di lavoratori. I lavoratori della formazione. Anche loro liquidati dalla rivoluzione di Crocettiana natura. Sono lavoratori, che già non percepiscono un regolare stipendio da più di 18 mesi e che rischiano di trovarsi, tra i disoccupati ed esodati di Forneriana natura.
In questi giorni è stato presentato a Roma il “Rapporto sui diritti globali 2013”. I dati riportati sono sconfortanti.In Italia ci sono oltre 3,3 milioni di precari, con una retribuzione media di circa 836 euro netti al mese (927 euro mensili per i maschi e 759 euro per le donne). La maggior parte lavora nelle regioni del meridione (35,18% del totale), solo il 15% è laureato. Nella pubblica amministrazione troviamo la fetta più consistente di precari, nella scuola e nella sanità sono circa 515.000, nei servizi pubblici e in quelli sociali circa 478.000.
Altri numeri messi in risalto dal rapporto, sono quelli che riguardano i pensionati. In Italia sono 16,7 milioni, il 13,3% riceve meno di 500 euro al mese; il 30,8% tra i 500 e i 1.000 euro, il 23,1% tra i 1.000 e i 1.500 euro e il restante 32,8% percepisce un importo superiore ai 1.500 euro.
Dunque, quasi otto milioni percepiscono meno di 1.000 euro mensili, oltre due milioni meno di 500 euro. Come vivono questo numero consistente di Italiani, dove vivono? Vivono in quella fetta di terra, che è la terra di nessuno.
È la terra di nessuno perché abbandonati dalla Stato, Stato di cui molto spesso sono stati fedeli servitori, emarginati dalla società, guardati con fastidio mentre fanno la coda alle Poste, considerati poveracci, da noi si dice “mischineddi” perché non sono più lucidi come una volta.
L?emergenza sociale, economica e anche culturale, che viviamo, è sicuramente frutto di una classe dirigenziale e politica che per anni ha gozzovigliato allegramente alla ricca e imbandita tavola dell?Italia.
Alla fine del banchetto, occorre pagare il conto, e con camaleontica arte, la classe politica, le banche, e la stessa società lo ha fatto pagare a quelli che vivono nella terra di nessuno; perché tanto non sono nessuno, le loro grida di aiuto nessuno le ascolta e nessuno può e vuole fare nulla per loro.
Giuseppe Morello
(foto da www.toninoscala.it)