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La strumentalizzazione del calcio femminile

Il capitano della Nazionale Sara Gama

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Doverlo ammettere è tanto triste, quanto inevitabile: non c’è nessuna infatuazione improvvisa verso le qualità tecniche delle calciatrici. Purtroppo per le nostre ragazze infatti, si tratta dell’ennesima trovata propagandistica.

Gettiamo la maschera una volta per tutte: il calcio femminile è il nuovo vessillo del politicamente corretto. Nulla più e nulla meno. Si tratta di un movimento che esiste da tempo, che a particolari latitudini gode persino di migliore salute e popolarità rispetto a quello maschile e che ha dato modo di cogliere qualche piazzamento soddisfacente anche alla nazionale azzurra (come due secondi posti ai campionati europei negli anni 90).

In buona sostanza, non c’è alcun elemento di particolare novità; se non quello che può derivare dalla contestualizzazione storica e politica del nostro paese. Un periodo in cui una sinistra in piena crisi d’identità (dopo aver rinnegato tutti i suoi valori costitutivi e dissipato un’ampia eredità culturale) è convinta che l’unico modo utile per tenere vivo il proprio elettorato tradizionale, sia lo stesso che ha causato la perdita di consenso di tutti gli “occasionali”. Una sinistra che proprio non riesce a partorire una proposta differente dall’integralismo a difesa delle minoranze, vere o presunte. 

Il precedente della staffetta

La staffetta azzurra dopo il trionfo ai Giochi del Mediterraneo 2018

E così, come una implacabile ventosa, quell’ultima roccaforte di un pensiero che si sta sgretolando di giorno in giorno (i media) risucchia, spolpa e strumentalizza in maniera stucchevole tutto ciò che odori vagamente di riscatto contro la discriminazione: compreso lo sport. Con il paradossale risultato di una inconsapevole discriminazione inversa, la quale porta gli/le/* atleti/e /* a guadagnare le luci della ribalta più per la propria identità – razziale o di genere – che non per le proprie qualità tecniche.

Esattamente come l’anno scorso, quando l’atletica leggera finì per monopolizzare per due settimane la cronaca sportiva, in virtù di una staffetta dei Giochi del Mediterraneo  vinta da quattro ragazze di colore (oltreché per il caso di Daisy). Un fatto significativo, posto come Filippo Tortu, indicato dagli addetti ai lavori come il più promettente italiano degli ultimi decenni, faccia fatica a ritagliarsi qualche trafiletto in ultima pagina. Le testate sportive ormai si sono accodate alle crociate del carrozzone mediatico generalista (evoluzione naturale, vista l’identità degli editori), diventando uno strumento di propaganda occulta per sensibilizzare contro tutte le presunte derive culturali con desinenze -ofobe.

La perentoria infatuazione verso il movimento delle azzurre, purtroppo per loro, è esclusivamente dettata da queste macabre logiche di funzionalità e sfruttamento.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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