Per la prima volta l’Italia si gioca una doppia finale nella capitale inglese: tennis e calcio mai così vicini.
Siamo in finale a Wembleydon verrebbe da dire. Un evento quello di domani che la prossima volta potrebbe accadere al passaggio della cometa di Halley o giù di lì. A parte le battute di natura cosmogologica, quello a cui stiamo per assistere è un evento storico per tutto il movimento sportivo italiano. Tennis e calcio, ai quali tra l’altro va ad aggiungersi la clamorosa vittoria della Nazionale di Basket contro la nostra eterna bestia nera la Serbia, si possono dare la mano entrambi nell’empireo della non più Perfida Albione.
Se guardiamo ai risultati complessivi del nostro tennis in questi ultimi anni, tra le vittorie della nostra Pennetta e Schiavone e quelle altrettanto incredibili dei nostri Berrettini e Fognini, praticamente in questi ultimi anni si è fatto di più di quanto era stato racimolato nei cinquant’anni precedenti. Un tennis, quello italiano, che ci ha messo un bel po’ più degli altri a digerire i nuovi stili e le nuove potenzialità del tennis moderno.
Fino a non molti anni fa vedere un tennista azzurro sfoderare un rovescio a due mani era un evento da raccontare negli annali della storia,
così come vedere una racchetta italiana picchiare duro su quella maledetta pallina fino a sgretolare il muro degli avversari. I nostri sono andati avanti per decenni aggrappandosi al rovescetto in slice sperando alla lunga nell’errore dell’avversario e con battute scolastiche che a poco servivano se non per l’eventuale break dell’avversario.
Ebbene tutto questo è cambiato a partire proprio dal tennis femminile
che ci ha dato la gioia di dominare sia negli Usa che a Parigi. Ricordiamo ancora l’urlo luciferino ma anche liberatorio della Schiavone con quel suo A hi!!!!mentre con la sua racchetta ci emozionava con quelle sue bordate imbottite di intrigante cattiveria agonistica.
Per quanto riguarda gli uomini, un Panatta e un Pietrangeli (entrambi quintessenza del mito) a parte, basterebbe guardare come giocano oggi i nostri Berrettini, Sinner, Fognini, Sonego confrontandoli con quanto riuscivano a fare i vari Nargiso, Camporese, Canè, Gaudenzi, Pescosolido per renderci conto che forse i primi stano giocando uno sport completamente diverso, un’altra cosa rispetto a quello che i nostri riuscivano ad offrire con le racchette di legno ma anche quando incominciarono ad usarsi le prime in fibra.
Diciamolo francamente:
i nostri per decenni come tecnica e tattica, quest’ultima rispetto alla prima ne è la direttissima conseguenza, sono rimasti al palo per il semplice motivo che nelle accademie nazionali si continuava ad insegnare ancora un tennis da circoletto, quasi amatoriale ma soprattutto timido e “camomillesco”.
Non appena ci siamo svegliati e ci siamo accorti di come giocavano gli altri, guarda caso, abbiamo incominciato a mettere il turbo e a dare i natali agonistici a tennisti che se avessero giocato ieri sarebbero stati di certo dei numeri uno. Ora che il gioco si è fatto duro e, dopo vari tentennamenti,anche noi abbiamo incominciato a giocare da duri, le cose sono cambiate perché la nostra vitalità agonistica è venuta fuori tutta di un colpo dopo essere stata sotterrata per decenni da metri e metri di terra rossa “invana”.
Ora i nostri giocatori tutti, chi più chi meno, ammantati da una nuova mentalità, chiamiamola così, americaneggiante, picchiano duro anche loro senza peraltro dimenticare quando occorre il sano self and volley e, quel che conta, si divertono e riescono ad adattare il loro tennis sia alla terra rossa, che al cemento che infine all’erba fino all’altro ieri odiata quando non ignorata dai nostri forse per semplice pigrizia mentale.
Analogo discorso, anche se “qualcosa in più” lì lo abbiamo vinto, lo si può fare per il calcio dove il coraggio di pochi, Mancini e Conte su tutti,
ci ha fatto passare definitivamente dalle secche di un calcio italiano del “primo non prenderle” all’innovativo pensiero del “prima cerco di metterla dentro, poi penseremo a difenderci“. Il che non vuol dire mettersi nelle mani di uno scriteriato “avanti Savoia” a 360 gradi ma al limite usare sapientemente il bilancino della tattica osando e usando un sapiente pressing con un gioco a tutto campo, evitando però di scoprirsi più di tanto. Il che, tradotto in parole povere, vuol dire farsi un “C” così arrivando super preparati agli appuntamenti che contano.
Ecco diremmo noi che il fattore “C”, inteso in questo senso rigidamente anatomico, rende molto l’idea. Stiamo in fondo riprendendo dalla soffitta il calcio di sacchiana memoria riadattato a tempi in cui si viaggia ad una velocità doppia sia di pensiero che di azione.
A questo va aggiunto il coraggio preso dalle varie federazioni di affidarsi non solo alle nuove idee ma anche alle nuove leve che di quelle sono il naturale corollario. Un esempio su tutti ce lo da “l’impertinenza” di un Romeo Sacchetti che si è deciso per una clamorosa rinuncia agli schemi e agli uomini tradizionali del basket nostrano per dare il batticinque ad una nuova e inattesa generazione di giovani senza paura e senza soggezione che si sono pure “permessi” di estromettere dalle Olimpiadi “sua maestà” la Serbia.
E ora, sulla base di questa conquista, prima mentale e di personalità, poi fattuale perché alla fine si scende in campo e si gioca confrontandoci con il mondo esterno, possiamo prepararci a gustare una domenica da sogno al di là di come andrà a finire, perché l’importante era esserci e noi ci siamo eccome…vada come deve andare.