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Per la Lazio è buio pesto

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Doveva essere la giornata della riscossa per i colori biancocelesti ed invece è stata la serata dell’impietosa verità: la Lazio, come al solito, quando è il momento di diventare qualcosa di più che una semplice gregaria, rompe la catena della bici e si ferma sul ciglio della strada. E’ la storia di sempre, se con il termine “sempre” ci riferiamo alla gestione decennale di Lotito & C. . Quella che è andata in onda ieri sera non è stata una semplice serata no che nel calcio ci può anche stare: è stata la definitiva conferma di quanto i poveri tifosi laziali si siano questa estate troppo presto illusi, ammaliati dai richiami sirenistici del padron Lotito, bravo a fare proclami con tanto di megafono quanto drammaticamente privo di quelle logiche competenze calcistiche che dovrebbero essere il bagaglio di un presidente di serie A.

Il film impietoso della partita ha offerto un predominio territoriale laziale tanto continuo quanto improduttivo, con un susseguirsi di azioni confuse, lente e infarcite di inutili passaggi a vuoto. Non si è vista, almeno fino agli ultimi e disperati guizzi di Keità subentrato a Braafheid, alcuna logica manovriera, o qualche almeno rudimentale schema di calcio. L’Udinese che, a differenza della Lazio, possiede qualità, l’unico ingrediente che consente di segnare in serie A, ha sfruttato la quasi unica occasione che si è ritrovata servita su un piatto d’argento dai difensori laziali immobili quanto gli omini del calcio balilla. Thereau, servito a dovere da un imprendibile Widmer, ha confezionato al volo sotto porta la rete del definitivo vantaggio friulano, con Konko e Novaretti a fare da spettatori non paganti. Tanto è bastato per portare a casa i tre punti, perchè la compagine di Pioli a quel punto si è letteralmente scompaginata, o sarebbe meglio dire, sciolta come neve al sole settembrino senza più trovare il guizzo vincente.

Pioli ha provato a togliere un evanescente Anderson con Djordjevic provando, in questo modo, a dare una scossa con il duo di coppia lì davanti, poi Lulic al posto di un pachidermico Ledesma e infine, la mossa più giusta, Keità al posto di Braafheid. Cambiando i fattori il risultato però è rimasto lo stesso perché, a parte i volonterosi affondi di Keità da una parte e di Candreva dall’altra, di azioni limpide da goal neanche a parlarne. Si è andati così avanti fino al fischio finale dell’arbitro e ai fischi meritatissimi dei tifosi laziali lodevoli e commoventi per aver comunque sostenuto la squadra fino all’ultimo secondo.

Difficile a botta calda fare una disamina…fredda dei motivi dell’ennesima debacle ma, a nostro giudizio, la dirigenza laziale ha diverse e gravi responsabilità  per quanto sta inevitabilmente avvenendo sulla sponda…meno gioiosa del Tevere. In primo luogo la scelta del tecnico, pur bravo e professionale, non ci pare essere stata azzeccatissima, Pioli infatti non pare l’allenatore in grado di confrontarsi, scontrarsi se necessario, con Lotito e Tare e forse anche non completamente in grado di dare alla squadra quello spirito e quella mentalità vincenti che stanno latitando da più di dieci anni. In secondo luogo, questa estate, invece di disfarsi di tutta una serie di “fenomeni” comprati ai saldi di fine stagione ma, ahinoi, mantenuti a suon di dobloni d’oro, la società se li è ritrovati sul groppone e questo ha inevitabilmente comportato la mancanza di una seconda linea, specialmente in difesa, degna di tale nome. Calciatori come Konko, che, quando proprio gli gira giusto, giochicchia pure benino ma poi puntualmente alla prima “bibi” si ferma in preda agli spasmi della disperazione, Novaretti, Ciani e in parte Cana, non sono adatti a giocare in serie A neppure se raccomandati dal Papa in persona.

A centro campo, questa estate, non sono stati fatti gli innesti giusti perché il solo Parolo, onesto e tranquillo pedalatore ma nulla più, non poteva portare quell’intensità, quella velocità e quel fosforo che sono impietosamente mancati l’anno scorso e che continuano a latitare anche ora. Se Biglia non è un fulmine di guerra e neppure una tempesta di fuoco, Ledesma, lento, impacciato e impreciso, a confronto suo non arriva ad essere neppure una tiepida pioggerellina autunnale. Lulic poi, per quanto più dinamico, non ha la tecnica sufficiente e il carattere per trascinare la squadra.

Il quarto errore di valutazione di Lotito e Tare è stato quello poi di pensare di tamponare i gravi problemi dell’attacco asfittico dell’anno scorso con un “signor nessuno” che ha giocato nella serie B francese che, rispetto alla nostra, equivale grosso modo ad una Lega Pro seconda divisione. Detto questo non vogliamo mettere la croce addosso al serbo che almeno sgomita, ci mette l’anima e cerca di far salire la squadra creando per gli altri qualche timida occasione da goal. Ma il problema è proprio questo, forse Djodjevic, e chi lo ha scelto, hanno dimenticato che a metterla dentro dovrebbe essere in primis proprio lui e qui, ahinoi, viene fuori l’impietosa verità o, se vogliamo, l’equivoco di fondo: Djordjevic non ha le caratteristiche del bomber di razza, tanto per intenderci quello da doppia cifra in campionato, ma semmai quello del partner in grado di innescare chi dovrebbe essere più bravo di lui a segnare. Il problema è che questo…più bravo di lui, se c’era un tempo, adesso non c’è più appesantito da trentasei primavere, un’età in cui bisognerebbe, soprattutto con una gloriosa carriera usurante alle spalle, pensare di appendere le scarpette al chiodo. Questo insomma è l’attacco che la dirigenza della società, in modo un po’ presuntuoso e anche ingenuo, ha pensato di mettere a disposizione di chi avrebbe dovuto condurre la squadra di nuovo nel calcio che conta. 


Sul fronte dei trequartisti, Candreva fa il suo provando cento volte a dare accelerazione alla manovra lenta e impacciata della Lazio ma, facendo quasi tutto da solo, cento ne fa ma…cinquanta ne sbaglia. Anderson è ormai un caso nella Lazi
o, un caso che ci stiamo trascinando indecorosamente da un anno e mezzo, il signor “dieci milioni” in verità si sta rivelando una “sola” di quelle storiche. Un giocatore che dovrebbe magari andarsi a fare un po’ le ossa in serie B dove forse troverebbe il modo di dire e…dare anche la sua. Discorso a parte merita Keità: sulle spalle di questo splendido talentino, si è voluto imporre, al pari di Candreva il peso e la responsabilità di essere il salvatore della patria dimenticandoci che diciannove anni, Maradona a parte, sono ancora molto pochi per riuscire ad affermarsi in un campionato come quello di serie A. Se ieri sera Balde Diao, nel quarto d’ora in cui è stato in campo, ha fatto vedere qualcosa di un po’ più assimilabile al calcio giocato rispetto al nulla dei suoi compagni di squadra, è altrettanto vero che lo stesso, di solito, sembra anche assentarsi ingiustificatamente per decine di minuti rimanendo così ai margini della manovra in una sorta di zona grigia senza palpiti né fremiti. Una cosa questa assolutamente perdonabile in chi sta lentamente crescendo e che fra due o tre anni potrà forse esplodere come ci si aspetta da lui. Ma adesso non può essere di certo lui il salvatore della barca che sta affondando, sarebbe ingeneroso nei suoi confronti pretenderlo e neanche chiederlo.

Questa è l’analisi impietosa di una gestione a nostro giudizio fin’ora fallimentare, come impietosa è la situazione di classifica attuale con i biancocelesti splendidamente assestati in piena zona retrocessione e…lunedì si va a Palermo, uno stadio che potrebbe con questi “splendidi” presupposti cambiare nome in quello di “La Sfavorita“. Se il buon giorno si vede dal mattino, per la Lazio, ora come ora, siamo già al crepuscolo.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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