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Caro Lotito chi è causa del suo mal…pianga se stesso

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Nel calcio moderno ormai non si improvvisa più nulla. I risultati, se arrivano, sono solo e soltanto frutto di precise pianificazioni e programmazioni pluriennali da parte di società gestite non solo in base alle esigenze di bilancio ma anche in base a precise politiche manageriali.

Le società di calcio moderne operano all’interno di un mercato che ha le sue ferree leggi, leggi, o meglio logiche, che, se ignorate, non possono che portare a conseguenze inevitabili in una sorta di stringente e drammatico rapporto di causa-effetto.

Il Presidente della Lazio Claudio Lotito sembra ignorare tutto questo, in una sorta di ripetitivo atteggiamento di auto sufficienza, della serie: tanto io valgo più di tutte le norme e le strette necessità dettate dal mercato, ovvero le leggi le faccio io e quindi quello che decido è sempre il meglio. Grazie a questo suo atteggiamento sbagliato e presupponente, la Lazio, partita con ben altre prospettive, si ritrova ora a languire nella media-bassa classifica a tredici punti dalla Roma e a soprattutto a quattro punti dalla zona retrocessione.

Il Presidente, e con lui il suo collaboratore Tare, hanno dimostrato e confermato quanto gli errori del passato non siano serviti a ritrovare la giusta strada a causa di una decisiva quanto ripetitiva mancanza di umiltà. Già una volta, ricordiamo, la Lazio si ritrovò, grazie ad una campagna acquisti ridicola se non addirittura nulla, impelagata nella zona retrocessione e fu grazie ai meriti di Reja se quella volta per il rotto della cuffia riuscì a salvarsi. Evidentemente quegli errori marchiani di gestione si sono ripetuti con una regolarità quasi inquietante e, aggiungiamo noi, indisponente. Lotito e con lui il suo direttore sportivo, sapevano benissimo quali erano i mali della squadra affiorati con evidenza nel girone di ritorno dello scorso campionato, dei quali il più grave era quello di avere una rosa ormai inadeguata e giunta in molti casi ai limiti del prepensionamento.

Il problema, se vogliamo più grave, e che necessitava una pronta e urgente soluzione, era quello della sterilità di un attacco, scopertosi incapace di gestire le assenze sempre più ricorrenti del trentacinquenne Klose, con il solo Floccari, incapace però di superare la soglia per lui fisiologica degli otto-nove goal a stagione. Sappiamo tutti che i grandi obiettivi, almeno in serie A, senza punte di peso non si raggiungono a meno di miracoli, ma sappiamo anche che i miracoli nel calcio attuale, sempre più tecnologico e tecnicista e sempre meno epico e romantico non si verificano quasi mai.

A questo punto ci si sarebbe aspettati che la dirigenza biancoceleste operasse un mercato in entrata almeno congruo e razionale e che tenesse appunto conto di questa situazione iniziale da aggiustare. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nessun attaccante di peso è arrivato, la trattativa per Yilmaz si è arenata, come quella di Anderson lo scorso gennaio, a un paio di ore dalla fine del mercato e questa volta non è neppure arrivato l’onesto ma ormai improponibile Saha di turno. E’ stato preso soltanto Bryian Perea, una giovane promessa proveniente dai vivai del campionato colombiano, al quale tra l’altro,  è stata addossata la responsabilità di presentarsi come il salvatore della patria.

Per quanto riguarda gli altri acquisti negli altri reparti, poco o niente: Biglia non ha nulla ma proprio nulla da farlo preferire ad un Ledesma più utile alla causa per le sue capacità di copertura che il primo assolutamente non ha. Il sospirato arrivo poi di Anderson si sta rivelando un mezzo flop, lo stesso infatti veniva da uno stop di cinque mesi per un grave infortunio, sperare che fosse immediatamente abile e arruolato ma soprattutto…operativo è un po’ come credere sempre ai miracoli di cui sopra. L’illustre sconosciuto Novaretti, in grado forse di marcare i tranquilli attaccanti del campionato messicano, più bravi a fare la siesta che a buttarla dentro, appena si è trovato di fronte gli attaccanti veri, quelli della Juve, ha dimostrato quanto tecnicamente può dare al campionato italiano.

Il giovanissimo e misterioso brasiliano Vinicius, anche lui acquistato con i saldi di fine stagione, viene come il suo compaesano Anderson, da un lungo infortunio e, guarda caso, è ancora fermo ai box per una ricaduta. L’ultimo acquisto, Elez, spacciato come una pedina importante per la difesa, ora è stato relegato in Primavera, tra l’altro sembra, con alterno rendimento. A questi aggiungiamo il povero Keità che, prelevato di peso dalla squadra Primavera di mister Bollini, all’età di diciotto anni si ritrova con il peso e la responsabilità di dover risolvere insieme all’altro ragazzino colombiano, i problemi realizzativi che continuano ad angustiare la squadra. Insomma Lotito ha pensato bene di saltare una generazione: invece di prendere elementi affidabili nella fascia di età tra i 24 e i 29 anni, che servivano come il pane, ha pensato, con l’eccezione di Novaretti e di Biglia, di passare direttamente ai diciannovenni e con questi di ambire alla Champions League o almeno all’Europa League. Se questa è una seria programmazione allora i valori del calcio prima accennati sono da rivedere completamente e su questo chi scrive è disposto a metterci pure la faccia.

Pensare di competere in un campionato come quello italiano basandosi soprattutto su quattro ragazzini, di cui due lungo degenti, vuol dire che o non si capisce molto di calcio o che si vuole il male della società che si gestisce. Il bello di tutta questa faccenda è che la situazione drammatica attuale della squadra, figlia delle decisioni di cui sopra, viene ora imputata all’allenatore, il buon Petkovic, che ha dovuto, ob torto collo, fare il classico buon viso a cattivo gioco, e quindi si è ritrovato nella necessità di gestire come meglio poteva il materiale, abbastanza scarso, che aveva.

Nel pallone italico o meglio italiota questa è sempre la logica e il presidente Lotito non fa che conformarsi all’andazzo generale: quando le cose vanno male non si fanno mai le dovute autocritiche ma si cerca sempre e solo il capro espiatorio più facile e raggiungibile da svendere alla piazza, ovvero l’allenatore di turno che finisce per pagare le colpe di tutti gli altri ovvero spesso di chi, avendo, a differenza sua, il potere di acquisto, non è in grado per vari motivi di gestirlo correttamente. Da un’intervista rilasciata da Igli Tare si è avuta pure la tragicomica conferma che non sono previsti e non ci saranno acquisti di nuovi attaccanti nel mercato di riparazione di gennaio. A questo punto non ci resta che fare i nostri migliori auguri ad una dirigenza, quella biancoceleste, che evidentemente crede ancora nei miracoli, ma soprattutto ai tifosi laziali per un campionato almeno tranquillo, visto che c’è il rischio che a questo punto diventi anche altamente drammatico.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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