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La Grande Piramide: le incongruenza degli egittologi

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di Roberto Crudelini

La piramide di Cheope con i suoi 2.300.000 di blocchi di pietra calcarea e di granito e con i suoi originari 146 metri di altezza è, insieme alle altre piramidi egizie, un monumento impressionante: una montagna di pietre posizionate in modo perfetto e con una perizia che neanche oggi con le moderne tecnologie a nostra disposizione potrebbe essere eguagliata.

Ora secondo gli egittologi tradizionali questo miracolo dell’ingegneria antica sarebbe stato costruito attorno al 2575 a.C. dal Faraone Cheope, in lingua egizia Khufu, ambizioso faraone della IV dinastia. Anche le altre due piramidi disposte nella piana di Giza sarebbero state costruite da altrettanti faraoni della stessa dinastia e precisamente da Chefren fratello di Cheope e da Micerino, figlio di quest’ultimo.

C’è in questa presupposta certezza un qualcosa che stride e che colpisce il buon senso del semplice osservatore: com’è possibile che all’alba dell’umanità, praticamente quasi alle soglie del Neolitico, l’uomo fosse già in grado di cimentarsi con successo in una simile ineguagliabile impresa. E’ come se la civiltà egizia fosse sorta all’improvviso dal nulla già perfetta e completa come la vediamo oggi, come se la mano di un dio in vena di scherzi l’avesse teneramente depositata già pre costruita sulle rive del limaccioso e fertile Nilo. E tutto questo quando nemmeno cinquecento anni prima, stando a quanto sostengono gli storici, gli abitanti del luogo si arrabattavano ancora tra semplici cocci di terracotta e rudimentali arti figurative. Tutta questa ricostruzione storica a posteriori non solo ha il sapore dell’assurdità ma sembra andare contro i più elementari meccanismi di evoluzione storica che conosciamo.

Perché una civiltà possa svilupparsi nel tempo non bastano certo una manciata di secoli, un lasso di tempo che nel lungo computo della storia dell’umanità equivale al battito di ali di un moscerino. Occorrono migliaia di anni di lento e spesso faticoso progresso scientifico e sociale, un progresso fatto anche di ricadute e di temporanee regressioni, insomma non certo una gioiosa e velocissima corsa verso la perfezione. Tra il precedente Neolitico e l’età delle piramidi c’è un salto quantico incredibile e inspiegabile, almeno con i meccanismi che conosciamo.

Ma su quali documenti si fonda questa certezza della paternità di Cheope da parte degli studiosi tradizionali? Ebbene ci sono due sole deboli presunte prove: in primo luogo la testimonianza dello storico Erodoto che nel V secolo a.C. visitò l’Egitto e poté parlare con i sacerdoti di allora che appunto attribuivano la paternità delle piramidi di Giza a Cheope, Chefren e Micerino faraoni della IV dinastia. Erodoto era uno storico scrupoloso anche se non sempre credibile se giudicato in base ai nostri parametri attuali. Ebbene lui si limitò a riportare acriticamente quanto i sacerdoti di allora, ovvero i lontani pronipoti dei faraoni dell’Antico Regno, gli avevano riferito. Altre volte gli storici moderni, quando gli è convenuto, non si sono fatti scrupoli nel mettere in dubbio gli scritti dello stesso Erodoto.

L’altra prova è quella relativa alla scoperta fatta nel 1837 dal colonnello inglese Howard Vyse, all’interno di una delle cosiddette camere di scarico, posizionate sopra la camera del Re, dei marchi di cava con il nome di Cheope. Ora sul colonnello, personaggio tra l’altro poco credibile che fece con i suoi scavi danni incredibili, esistono molti dubbi proprio riguardo alla sua attendibilità e serietà professionale. Ricordiamo che l’assai presunto ritrovamento avvenne alla fine di una campagna costata una valanga di sterline e che aveva portato ad assai scarsi esiti, non proporzionati al dispendio economico messo in atto. Sorge quindi il sospetto che il poco professionale e screditato ricercatore potesse avere disegnato lui stesso sulle pareti quei pochi sedicenti scritti con lo scopo di dare importanza e giustificazione ai suoi disastrosi scavi. Notate che quello fu l’unico luogo in tutta la piramide in cui vennero ritrovati e per giunta in uno dei punti più difficilmente raggiungibili di tutta la costruzione. Poi, particolare non secondario, gli stessi geroglifici, ad un attento esame, hanno rivelato evidenti errori ortografici, insomma sono scorretti se confrontati con le leggi grammaticali dell’antica lingua egizia. Quindi il dubbio resta.

Ora molti non sanno che esiste un’altra prova, in questo caso alternativa e contraria alla paternità di Cheope ma, a differenza dei marchi di cui sopra, sicuramente autentica: si tratta della Stele dell’Inventario, scoperta dall’archeologo francese Auguste Mariette nel secolo diciannovesimo. Secondo quanto è riportato in questa importantissima iscrizione, la piramide sarebbe stata costruita in un’epoca molto antecedente rispetto a quella della IV dinastia mentre la piramide stessa viene accostata piuttosto alla dea Iside chiamata “la signora della Piramide”. Di Cheope quindi non si fa nessun riferimento. Una prova questa che evidentemente ha messo in imbarazzo l’intero mondo scientifico e che ha rischiato di mettere in dubbio tutta l’impalcatura tradizionale che gli storici hanno dato riguardo alla storia degli Egizi ma anche, è il caso di ricordarlo, alla storia dell’umanità intera. Un imbarazzo così’ forte che i nostri cari archeologi si sono immediatamente dati la pena di screditare l’attendibilità di questa fonte in quanto, secondo loro, si sarebbe rivelata di molto posteriore all’età di Cheope. Ma allora, se ci basiamo su questo parametro, anche la stessa testimonianza di Erodoto in quanto tale, lo storico visitò l’Egitto circa duemila anni dopo la presunta costruzione delle piramidi, non sarebbe per questo motivo altrettanto credibile.

Ma non finisce qui, ci sono altre considerazioni che ci fanno fortemente dubitare di quanto ci è stato finora riportato come oro colato dai soliti storici allineati e ortodossi. In nessuna delle piramidi egizie, con l’eccezione della probabile manomissione ad opera di Wyse, esiste una pur minuscola iscrizione che inneggi, come ci si aspetterebbe dai presuntuosi e vanagloriosi Faraoni della IV dinastia ai loro eminenti costruttori. Tutte le tombe finora scoperte in Egitto hanno rivelato un patrimonio fatto non solo di ricchissimi corredi funebri ma anche di estesissime iscrizioni parietali che avevano lo scopo non solo di celebrare le gesta dei defunti ma anche di accompagnarli nel regno dei morti. Tutto questo manca incredibilmente nelle piramidi, come manca la presenza del loro legittimo occupante, ovvero di una mummia reale. Sono stati trovati solo sacelli desolatamente vuoti, dove , tra l’altro, a mala pena centrerebbe un sarcofago. Se è pur vero che è sempre possibile ipotizzare furti e ruberie da parte dei tombaroli di tutte le epoche, non è stato trovato niente, neanche un brandello che potesse in qualche modo avvalorare questa ipotesi e poi gli stessi ipotetici trafugatori non avrebbero potuto scrostare e arraffare eventuali iscrizioni presenti nelle pareti delle presunte tombe.

Quindi allo stato attuale delle cose non esiste una prova scientifica vera e propria per avvalorare quanto gli storici e gli archeologi schierati hanno finora affermato. Mentre esiste qualcosa di più di un indizio che sembra spalancare orizzonti e ipotesi che impegnerebbero verso un approfondimento ulteriore, approfondimento decisamente impegnativo, forse troppo per chi pretende di essere depositario di una verità apodittica e tranquillizzante.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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