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CAPITOLO I (Prima parte)- Pompeo Magno, ovvero l’uomo che credeva di assomigliare ad Alessandro Magno

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di Roberto Crudelini

Con la morte di Silla e, prima di lui, del suo grande nemico Mario, si chiudeva uno dei capitoli più incresciosi della storia di Roma. I due uomini, accomunati da un?identica e perniciosa brama di potere, finirono per ottenere, come unico risultato, una lunghissima scia di sangue e morte. L?eredità che lasciarono al popolo di Roma si potrebbe riassumere in due semplici parole: caos e terrore a cui seguì in modo inevitabile un clima di assoluta incertezza politica.
Da un lato il senato, sempre più miope e incapace di mantenere la situazione sotto controllo, dall?altra una classe di cavalieri sempre più legata ai propri, più o meno leciti, profitti ed interessi, avevano trasformato Roma nell?arena del loro sanguinoso confronto. In mezzo a questi due mega schieramenti stava il partito popolare, incapace di uscire dalla palude delle sue passioni e del corollario di violenze ivi innescate. La situazione intorno al 70 a.C non era quindi delle più rosee: la democrazia, se così possiamo chiamarla, si stava trasformando in anarchia. Per di più si profilavano all?orizzonte altre grane impreviste che richiedevano fermezza di intenti e unità di decisioni, qualità che Roma in quel momento non era in grado di fornire. Grandi questioni di carattere internazionale che rischiavano di destabilizzare l?intero bacino del Mediterraneo.
La prima scoppiò nella penisola iberica dove un appartenente al partito mariano, l?ex propretore della Spagna Citeriore, Quinto Sertorio, si era ribellato alla dittatura di Silla proclamando uno stato indipendente. Sotto il suo comando erano affluiti soldati fedeli alla causa mariana e la maggior parte delle popolazioni locali, evidentemente stufe del dominio romano. Sertorio era un valente generale, forse il meglio che si potesse trovare sulla piazza in quel momento, un uomo tutto di un pezzo, ancorato a valori quali l?onestà, l?integrità e la coerenza, doti che il romano medio di allora aveva lasciato in soffitta.
Di fronte a questa nuova minaccia, il senato si trovò in gravi ambasce: se Sertorio non fosse stato fermato, probabilmente con lui si sarebbe ripetuta la storia di Annibale, ed un bel giorno l?ex ufficiale di Roma avrebbe fatto “cu cu” da uno dei passi alpini con un esercito agguerrito e assetato di vendetta. Per di più in quel momento non si vedeva all?orizzonte l?uomo adatto a scongiurare un simile pericolo.
Per la verità un esercito in Spagna già esisteva agli ordini di Quinto Cecilio Metello, ma i risultati non erano stati pari alle attese: non c?era confronto, Sertorio era di un?altra categoria. Mentre le legioni romane erano al palo inchiodate sulle loro posizioni, i ribelli facevano un po? quello che volevano, liberi di scorazzare a destra e a sinistra. Le discussioni nella curia romana dovettero in quei giorni drammatici susseguirsi con ritmo incalzante ma le soluzioni proposte in alternativa sembravano tutte inadeguate e tremendamente inefficaci. Va inoltre ricordato che Silla in tre anni aveva appeso ai rostri quel che restava del fior fiore della società romana provocando, tra l?altro, un clamoroso vuoto generazionale.
Ad un certo punto a qualcuno venne in mente il nome di un giovanotto che aveva militato agli ordini di Silla come ufficiale e che si era distinto per valore e disciplina nella caccia da quello scatenata contro i mariani. Di recente aveva anche bloccato un tentativo insurrezionale da parte di M.Emilio Lepido, un nobile fuoriuscito dal partito aristocratico, da lui sconfitto presso la città di Cosa in Etruria. C?era però un grosso problema di carattere procedurale, un ostacolo in apparenza insormontabile: Pompeo, il giovane in questione, pur essendo stato ufficiale con incarichi da propretore, non aveva fatto la carriera necessaria per essere eletto al consolato e non ne aveva neppure l?età. Un bell?inghippo, ma alla fine prevalse una volta tanto il buon senso: Pompeo venne, in barba a tutti i regolamenti, nominato proconsole e spedito in tutta fretta verso il teatro delle operazioni.
Dopo aver arruolato per conto suo i legionari che gli servivano, Pompeo attraversò le Alpi e i Pirenei e si presentò con un bell?esercito al cospetto di Sertorio che, da parte sua, stava già assaporando quella che sembrava ormai la sua vittoria imminente su Roma: si era nell?anno 76 a.C.
Ad onor del vero i primi scontri fecero capire al giovane rampante Pompeo che il suo non sarebbe stato un viaggio turistico, una scampagnata in cerca di bottino, così come gli avevano prospettato quei vecchi volponi dei senatori, probabilmente per invogliarlo e per stimolarne la sua enorme ambizione. Sertorio non aveva nulla da invidiare ad un Mario o ad un Silla in fatto di tattica militare e di capacità organizzative. Il suo esercito si spostava con la rapidità di un fulmine e riusciva con una facilità quasi disarmante a prevedere le mosse dell?avversario. Alla lunga però il generale ribelle dovette fare i conti con l?imprevedibilità e l?inaffidabilità delle popolazioni iberiche, poco disposte a mantenere un impegno costante nel medio lungo termine. Sertorio ogni giorno perdeva per strada qualche effettivo ma, quel che era peggio, trovava sempre maggiori difficoltà nel rimpiazzarlo.
Alla fine anche un generale esperto e navigato come lui si sarebbe trovato, come si suol dire, in braghe di tela. E così avvenne dopo quattro anni di guerra dura e sanguinosa: l?ex ufficiale di Mario ad un certo punto incominciò a segnare il passo, la sua tattica era sempre meno arrogante, sempre più difensiva e, di scontro in scontro, si faceva sempre più manifesta la sua progressiva impotenza. Ma non era ancora sconfitto, Sertorio, dotato da madre natura di un carattere oltremodo tignoso e ostinato, non conosceva la parola resa: per vincere quella guerra Pompeo era destinato a mangiare ancora tanta polvere e sudare la proverbiali sette camicie.
A togliergli le classiche castagne dal fuoco ci avrebbe alla fine pensato il solito traditore, un certo Perperna, del seguito di Sertorio, che un bel giorno accoltellò il suo capo sostituendosi a lui nel comando dei ribelli. Non sappiamo i motivi di un simile complotto, forse Perperna era semplicemente geloso del suo generale e voglioso di assumere il potere in sua vece anche se non vanno sottovalutate altre ipotesi, prima fra tutte quella che nella vicenda vede lo zampino dello stesso Pompeo, forse mandante dell?assassinio. Sta di fatto che dopo l?eliminazione di Sertorio, come era prevedibile, la guerra andò rapidamente incontro al suo epilogo: Pompeo nel giro di qualche mese, riuscì a trionfare facilmente su un esercito nemico ormai allo sbando e privato della sua guida carismatica.
Incredibilmente per quei tempi il nostro proconsole evitò di accanirsi contro gli sconfitti: molti Spagnoli finirono per ottenere addirittura la cittadinanza romana, mentre i più irriducibili vennero semplicemente mandati a sbollire la loro rabbia in Gallia meridionale. Una clemenza forse non spiegabile se non con il fatto che Pompeo era un uomo più portato verso l?autocompiacimento e la vanità che non verso la violenza fine a sé stessa. Beninteso, Pompeo, quando ce n?era la necessità, uccideva e come, ma, una volta raggiunto il suo scopo, che non era tanto il potere in sé, quanto una sorta di narcisistico compiacimento per il suo conseguimento, non aveva più interesse a spargere altro sangue. Questo evidentemente non per particolari motivazioni di carità umana e di pietà verso i vinti, doti a lui sconosciute, ma semplicemente perché non ne aveva più interesse: la sua più che santità era?semplice pigrizia.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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