La domanda a prima vista può sembrare banale quasi scontata ma non lo è. In una società come la nostra dominata dalla micidiale triade rappresentata dal potere, dal denaro e dal sesso non si ammettono valori che non siano con questi in diretta cooperazione e collusione. Un mondo, il nostro, dove quello che conta non è essere ma apparire nell’ambito di un’aberrante concezione della vita che si consuma e si autoalimenta nello stesso consumismo e che fa del piacere e dell’edonismo le sue perfette e famigerate icone. Parlare di santità al giorno d’oggi è un po’ come parlare di cose passate che sembrano appartenere alla notte dei tempi, un mondo fatto di quadri vetusti in esposizione e che ci occhieggiano da una dimensione che non ci appartiene.
L’atto coraggioso di Papa Bergoglio di nominare due santi attualissimi e che fanno parte dei nostri recenti ricordi e della nostra stessa vita ha un significato preciso: la santità, ovvero la capacità di partecipare coraggiosamente alla Passione di Cristo unendo le proprie sofferenze alle sue, è ancora oggi la via che l’uomo è chiamato a percorrere, sarebbe il caso di dire, contro tutti e contro tutto.
E’ proprio nella partecipazione alla Croce del martirio, con la rinuncia al proprio io e in definitiva alla propria vita, che si concretizza il cammino di santità, un cammino che si dovrebbe compiere non solo nelle grandi imprese così come è stato fatto dai due nuovi Santi, ma nelle scelte di tutti i giorni, lontano dal clamore e dall’acclamazione del mondo, semplicemente abbracciando nelle cose più umili quella stessa croce così scandalosa e proprio per questo così impegnativa.
Essere santi al giorno d’oggi significa forse rinunciare in ogni istante della nostra vita a qualcosa di noi stessi con lo scopo di contribuire a rendere la vita degli altri più accettabile e migliore. Un compito che Papa XXIII e Giovanni Paolo II hanno nelle loro vite portato avanti con quel coraggio che solo la presenza e l’amicizia di Dio possono dare: questo in fondo è il significato profondo della parola santità, validissimo a attuale ai nostri giorni come lo era duemila anni fa. Santità non intesa soltanto come l’adesione ad un formale elenco di doveri morali a cui attenerci ma essenzialmente come un dono continuativo di noi stessi agli altri nelle piccole e grandi circostanze della vita.
La santificazione di questi due autentici giganti della fede ci insegna come in un mondo dominato dalle tenebre e dal peccato basta la presenza di un solo santo per purgare quello stesso mondo e per salvarlo dal male. La Chiesa è chiamata a partecipare insieme al Cristo alla redenzione dell’uomo prendendo su di sé il tremendo carico della Croce e della passione di Cristo così come hanno fatto Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II. Una passione in cui la sofferenza e le piaghe del Cristo non vengono miracolosamente guarite come siamo portati umanamente e ingenuamente a sperare, ma rimangono come strumento di redenzione dell’umanità per essere, solo in seguito, trasformate dalla gloria della Resurrezione.
Come non ricordare, a questo riguardo, il momento tragico dell’attentato subito da Papa Wojtila, quando il Pontefice, a causa della sua testimonianza a Cristo, versò il suo sangue innocente arrivando ad un passo dalla morte. E come non ricordare che Papa Giovanni XXIII ebbe il coraggio di testimoniare l’amore e la misericordia di Dio mentre sul mondo sembravano schiudersi le porte dell’abisso con la crisi dei missili di Cuba. Un coraggio questo che soltanto la santità e la docilità allo Spirito può dare e che rappresenta la più alta forma di redenzione dell’umanità, redenzione possibile grazie all’ubbidienza anche di un solo uomo. Questo in fondo è il mistero che ci da speranza: il male di tutto il mondo può essere sconfitto grazie al sacrificio di una sola persona. Illuminante ci sembra a questo riguardo il passo contenuto nella Genesi, capitolo 18 versetti 23-33 in cui Abramo chiede al Signore se risparmierà Sodoma dal suo destino per amore di anche solo dieci innocenti e riceve la seguente risposta: “Per amore di quei dieci non la distruggerò”.