I continui tagli al SSN – il Servizio Sanitario Nazionale – in Italia hanno comportato danni incommensurabili alla capacità di azione di quest’ultimo. E, per ciò stesso, alla salute dei cittadini ed alla sanità statale.
Autore: Gilberto Trombetta
«Cinque infermieri dell’ospedale di Codogno, in turno da ieri alle 14, sono praticamente reclusi in ospedale: non c’è abbastanza personale, nessuno che gli dia il cambio»: tweet del 22 febbraio 2020.
Ed ancora: «Le strutture ci sono, servirebbero più posti letto. Ma se il numero di infezioni aumenta rapidamente il sistema attuale potrebbe anche non reggere» (articolo del 22 febbraio 2020).
Sono gli effetti del vincolo esterno (UE ed euro) ricercato patologicamente dalla peggior classe politica che abbiamo mai avuto. Gli effetti di tre decenni di avanzo primario. Gli effetti di anni di tagli continui al nostro SSN.
Oggi lo Stato spende per la nostra salute 2.545 euro pro capite contro i 5.289 della Norvegia e i 5.056 della Germania.
Gli ospedali sono passati dai 1.165 del 2010 ai 1.000 del 2017: -14,6%. I medici sono passati dai 244.350 del 2010 ai 242.532 del 2017. Quelli assunti a tempo indeterminato in strutture pubbliche sono passati da 110.732 a 101.100: -9,5%.
I posti letto, già pochi rispetto alla media europea, sono passati dai 244.310 del 2010 ai 211.593 del 2017: -16,2%. Il rapporto è sceso così dai 3,9 posti letto per 1000 abitanti del 2007 ai 3,2 del 2017. La Germania ne ha 8, per esempio. Quasi il triplo.
Ci mancano insomma circa 70.000 posti letto. Mentre gli infermieri in meno rispetto a quelli che ci servirebbero sono circa 53.000. Abbiamo un rapporto infermieri per 1.000 abitanti di 6,5 contro gli 8,4 della media europea e i 12,9 della Germania.
Un ammanco, per il SSN, che da solo potrebbe aumentare di circa il 20% la mortalità nelle corsie degli ospedali.
Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni
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