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La Neuropsichiatria moderna: i gravi limiti di una scienza che continua a credersi perfetta

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La storia della  moderna Neuropsichiatria inizia praticamente nel dopo guerra con la prescrizione e la conseguente assunzione su vasta scala dei primi farmaci neurolettici che, secondo le false certezze dell’epoca, avrebbero dovuto guarire da ogni disturbo mentale. Tutto si basava su un incredibile equivoco di fondo e cioè che fosse possibile con una terapia chimica-farmacologica andare a porre rimedio allo squilibrio chimico osservato nei pazienti affetti da varie sindromi mentali. In pratica quella che era una semplice conseguenza degenerativa della malattia era stata scambiata per causa primaria e…curando questa presunta causa si pensava trionfalmente che sarebbe stata curata e risolta anche la malattia. Una questione quasi filosofica in cui i termini del problema erano stati bellamente capovolti all’interno di una visione meramente meccanicistica.

Nessuno dei vari soloni dell’epoca aveva pensato che le varie forme di sofferenza mentale che assillano non pochi mortali in verità derivano da cause psicologiche molto più profonde e, per questo, difficili da individuare. La moderna medicina, partendo dal presupposto di una conoscenza dei meccanismi cerebrali che allora come oggi non superava il 4-5% del meraviglioso e complesso funzionamento del nostro organo del pensiero, pensava di aver trovato trionfalmente il “Santo Graal” in grado di porre rimedio velocemente ai cosiddetti disturbi mentali. I fatti avrebbero dimostrato come non soltanto non sarebbero state trovate le prove scientifiche dell’esistenza della malattia mentale in quanto tale ma anche che l’uso e l’abuso delle sostanze psicotrope non guariscono da alcun disturbo neurologico ma anzi contribuiscono alla lunga ad un ulteriore peggioramento.

La Neuropsichiatria, di fronte alle prove cliniche condotte negli anni che hanno dimostrato come a tutt’oggi non ci siano cure che si possano in qualche modo definire risolutive ma anche come le sostanze chimiche introdotte con le terapie farmacologiche comportino tutta una serie di problematiche spesso peggiori rispetto al male che si pretende di curare, continua imperterrita nella sua trada lastricata di errori e di false certezze. Sono noti infatti gli effetti anche devastanti che l’utilizzo prolungato dei vari neurolettici (antidepressivi, tranquillanti, stimolanti) è in grado di procurare sui pazienti “curati”. Malattie e disturbi come la Discinesia Tardiva, con più o meno accentuati disturbi motori anche irreversibili, o come la Acatisia Tardiva con ansia e continua tensione interiore, o la Distonia Tardiva con dolorosi spasmi muscolari fino ad arrivare alla grave Sindrome Neurolettica Maligna simile all’Encefalite Letargica, sono frutto di precise ricerche cliniche condotte in tutti questi anni e dimostrano senza appelli la pericolosità dei cosiddetti farmaci antipsicotici soprattutto se, come succede sempre più spesso, somministrati per lunghi periodi.

Qualche psichiata non allineato ha parlato addirittura di forme striscianti di “lobotomia chimica“. Sono infatti sempre più numerosi i ricercatori e i medici, almeno quelli più indipendenti, che sostengono come gli psicofarmaci siano del tutto assimilabili alle droghe proibite e che la chimica cerebrale è così complessa che qualsiasi intervento grossolano, che si chiami droga o psicofarmaco poco importa, causa delle conseguenze negative anche se certi effetti iniziali di entrambi possono sembrare favorevoli. L’uso prolungato degli antipsicotici, sia di vecchia che di nuova generazione, è in grado inoltre di procurare una forte dipendenza che impedisce la possibilità di interrompere drasticamente il loro utilizzo. Uno studio condotto dalla ricercatrice Linda Sisson dal titolo “I neurolettici modificano il cervello” ha dimostrato come gli psicofarmaci naurolettici producano un ingrossamento di alcune aree della zona basale del cervello sugli schizofrenici sottoposti a “cura”. Ingrossamento che aumenta in modo proporzionale all’aumento delle dosi dei farmaci.

Poiché tali evidenze cliniche sono frutto di esperimenti condotti su ratti non affetti da alcuna sindrome mentale,  se ne deve dedurre, con buona pace dei medici psichiatri, che tale ingrossamento non è dovuto al progredire della malattia ma solo e soltanto all’utilizzo delle sostanze farmacologiche. La rivista medica “The Lancet“, 5. Sept.1998, ha evidenziato poi come alcuni studi condotti con l’ausilio della Tac sulla corteccia frontale abbiano riscontrato nei malati sottoposti a terapie a base di antipsicotici un restringimento della corteccia stessa. Ricordiamo come nella corteccia del lobo frontale risiedano le aree dedicate alla funzione motoria ma anche all’elaborazione delle nostre idee e del nostro pensiero in generale. Nel lobo posteriore del cervello invece, quello che risulterebbe ingrossato in seguito alla terapia a base di antipsicotici, risiedono funzioni altrettanto importanti come l’emotività, il comportamento e la memoria di breve termine.

Elementi come si vede sufficienti per dichiarare guerra a tutti i farmaci neurolettici in generale. La moderna Neuropsichiatria, in seguito alla prematura rinuncia a sviluppare nel suo ambito un vero e proprio percorso alternativo a livello psicologico per cercare di individuare le vere e spesso profonde cause alla base dei vari disturbi mentali, si è limitata alla strada più breve e…pericolosa. Ci si lasci passare un paragone a nostro giudizio illuminante: è un po’ come se si volesse combattere il fenomeno delle risse notturne fuori dai locali pubblici facendo scoppiare sulla città una bomba nucleare. In questo modo è evidente come inizialmente il problema sarebbe risolto alla radice…peccato che per fare questo si sia dovuta eliminare una città intera per poi magari scoprire che la violenza giovanile, le cui vere cause non sono state individuate, con la ricostruzione della suddetta città riprenderanno come e più di prima.

Questa è la situazione della moderna Neuropsichiatria la branca che, per la complessità del cervello umano, risulta essere la meno evoluta di tutta la Medicina, ma anche, va detto, quella più autoreferenziale perché continua a professarsi certa, precisa e scientificamente perfetta. Peccato che milioni di pazienti nel mondo, ridotti ad uno stato di anoressia e di apatia più o meno grave, con preocccupanti disturbi cognitivi e con un’aspettativa di vita inferiore a quella di chi non usa psicofarmaci, stiano a dimostrare forse il contrario.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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