E’ il 04 aprile 2013 quando Maria S., già mamma di una bambina di due anni, si reca al Pronto Soccorso dell’ospedale romano “Fatebenefratelli” sull’Isola Tiberina. Al medico di turno denuncia delle perdite ematiche. Le viene fatta una ecografia che accerta che la donna è incinta di cinque settimane ma il battito del feto non c’è. Maria S. precipita nello sconforto, chiede aiuto ed il medico le consiglia di effettuare quanto prima un aborto terapeutico.
Al ritorno a casa, Maria S. non si arrende davanti alla verità e decide di recarsi, il giorno seguente, presso il suo medico di base, specialista in ginecologia e ostetricia.
«E’ vero il battito non c’è, ma la gravidanza è appena cominciata» si sente rispondere Maria «Aspettiamo una settimana per capire se c’è stato o meno l’aborto interno». Qualche giorno dopo una ecografia scioglie ogni dubbio: l’embrione è vivo e cresce. La diagnosi elaborata al pronto soccorso era errata.
Maria porta avanti una gravidanza serena, senza nessun tipo di problema e dopo nove mesi nasce il suo bambino che oggi ha tre mesi e mezzo.
“Ogni volta che mi soffermo a guardare il mio piccolo mi rendo conto del pericolo scampato. Se non avessi seguito il mio istinto sarei stata io stessa la carnefice di mio figlio. Ecco perché sono sempre stata convinta che un’azione legale fosse un’iniziativa non solo giusta, ma doverosa. Nei pronto soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Non si può sbagliare con la vita».
Oggi Maria chiede giustizia e, visto che il reato di tentato omicidio colposo non può essere contestato, ha deciso di puntare al risarcimento dei danni morali: «Non si può precludere la vita di un bimbo innocente per una superficialità» chiarisce, assistita dall’avvocato Pietro Nicotera, che per lei ha indirizzato all’ospedale la lettera con cui preannuncia l’azione legale.