Ci sono notizie che, vuoi perché sono scomode agli accademici tradizionali, vuoi perché costringerebbero gli studiosi a rivedere l’intera ricostruzione della storia dell’umanità, che finiscono presto nel dimenticatoio e non vengono adeguatamente pubblicizzate dai media. Una di queste riguarda il ritrovamento da parte dell’archeologo Sherif El Morsi di un fossile di riccio di mare in una delle pietre della Piana di Giza. Un ritrovamento questo che potrebbe dimostrare che l’intero sito fu diverse migliaia di anni fa sommerso da un’inondazione e innalzamento delle acque del mare che, secondo gli studi compiuti dallo stesso ricercatore, avrebbe raggiunto l’altezza di ben 75 metri.
Tale ritrovamento risalirebbe all’anno 2013 e potrebbe rappresentare una svolta clamorosa sull’intera questione relativa al tempo in cui le Piramidi e la Sfinge furono costruite. Il fossile in questione sarebbe stato trovato su una delle pietre che si trovano vicino alla Piramide di Micerino ed è quello di un’echinoidea più comunemente conosciuta con il nome di riccio di mare. Morsi si sarebbe imbattuto quasi per caso nella pietra e avrebbe subito notato che sulla sua superficie c’era un rigonfiamento che ad un esame più attento si è rivelato essere un resto fossilizzato di un esoscheletro abbastanza grande di un riccio. Una creatura questa che normalmente vive in acque poco profonde.
Quello che ha lasciato spiazzato e sorpreso l’archeologo è che le caratteristiche del processo di fossilizzazione e dello stesso reperto, grosso e ben conservato, farebbero pensare che il processo di pietrificazione sarebbe avvenuto in tempi abbastanza recenti ovvero non più di nove-diecimila anni fa. Il riccio in questione ha un diametro di circa 8 millimetri, un’ampiezza che di solito viene raggiunta da questi organismi in circa 15 anni. Comunque, oltre a quelle del geologo Robert Schoch sulle risultanze dell’erosione pluviale sulla Sfinge, ci sono altre scoperte che dovrebbero fare rizzare le orecchie ai ricercatori e che sembrano portare tutte alla medesima conclusione.
Ad esempio la Grande Piramide nei suoi primi 20 metri mostra precise tracce di sedimenti alluvionali tipici appunto dei fondali poco profondi. Sappiamo infatti che quando le acque si ritirano in seguito ad un prolungato allagamento, la roccia che è rimasta sommersa così tanto tempo incomincia a mostrare il tipico aspetto spugnoso che appunto si può notare in alcuni primi strati dei monumenti di Giza.Se allo stato attuale non abbiamo ancora sufficiente materiale per provare in modo incontrovertibile quanto affermato dal ricercatore egiziano, allo stesso tempo va detto che non si può più sottovalutare a riguardo la somma degli indizi, compreso lo studio di Bauval ed Hancock sull’allineamento delle piramidi con la Cintura di Orione così come appariva nel 10.500 a.C, che sembrano portare tutti ad una retrodatazione di parecchie migliaia di anni dell’inizio della civiltà egizia.
Come d’altronde non essere scettici di fronte alla tesi portata avanti dagli egittologi tradizionali secondo la quale le piramidi furono costruite da una civiltà che soli cinquecento anni prima era alle soglie del Neolitico. Passare nel giro di soli cinquecento anni, che storicamente parlando vuol dire in pratica da un momento all’altro, dai semplici attrezzi di selce e dagli elaborati elementari di una società quasi primitiva alla costruzione di qualcosa che ancora adessso sarebbe arduo se non impossibile realizzare dall’alto della nostra avanzata tecnologia, è come se pretendessimo che l’Uomo di Neanderthal da un giorno all’altro avesse imparato a concepire e a scrivere le equazioni di secondo grado. Su questa ipotesi inverosimile gli studiosi dovranno continuare a confrontarsi nei prossimi anni perché qualcosa continua a non quadrare e a non convincere.