In base a quanto viene descritto nel capitolo 18 e 19 della Genesi, due ricche città che si trovavano presumibilmente nella zona dove ora si trova il Mar Morto, migliaia di anni fa, vennero improvvisamente distrutte da Dio che mandò sopra loro un autentico diluvio di fuoco e di zolfo. Il motivo di tale ira divina sarebbe stata la loro depravazione e il loro enorme peccato che non avrebbe dato a quella gente via di scampo né possibilità di un ripensamento divino.
Quelli della Bibbia a riguardo sono forse tra i passi più enigmatici e misteriosi dell’intero Antico Testamento, passi che sembrano nascondere verità forse anche clamorosamente scomode per la nostra mentalità scientifica e pragmatica. A leggere i passi che descrivono l’accaduto non si può non rimanere in qualche modo interdetti di fronte ad un evento che sembra rivestire non solo le caratteristiche di un’immane catastrofe ma anche di un inspiegabile e surreale contatto-dialogo con Dio stesso e i suoi messaggeri.
Il problema interpretativo più grave è che fino ad ora non sappiamo che fine abbiano fatto le città in questione, né ovviamente quale sia stata in definitiva la causa della loro improvvisa scomparsa, ammesso beninteso che siano realmente esistite e non frutto della leggenda e del mito biblico.
Negli anni settanta vennero scoperti i resti di due antiche città nei pressi del Mar Morto: Babedra e Numeria così come furono chiamate dagli archeologi che le dissotterrarono. L’ipotesi, ma è solo appunto un’ipotesi, è che che possano essere proprio le due mitiche città di Sodoma e Gomorra. Il problema è che Babedra non è stata probabilmente distrutta dal fuoco ma più realisticamente da un’invasione nemica, mentre nei resti della sola Numeria è stato effettivamente trovato uno strato di 30-40 centimetri di cenere che potrebbe far pensare ad una distruzione avvenuta a causa del fuoco. Entrambi i siti, va detto, furono abbandonati improvvisamente e non furono mai più abitati.
Ora bisogna comunque spiegare come può essersi verificata in modo naturale una pioggia di zolfo e fuoco così come ci viene descritto puntualmente nel testo della Genesi. Qualcuno ha ipotizzato un evento legato all’eruzione di un vulcano, ma nella zona in questione non ci sono prove né indizi storici che un simile evento sia mai avvenuto. Viceversa, essendo la zona ricca di giacimenti di petrolio, gas naturale, zolfo e catrame, l’ipotesi di un terremoto che avrebbe poi di fatto innescato una terribile reazione a catena con fuoriuscita di colonne di gas dal suolo ed esplosioni immani sarebbe qualcosa di più che una semplice ipotesi. Le popolazioni che abitavano in quella zona, che tra l’altro è anche sismica, vivevano senza saperlo sopra una vera e propria bomba ad orologeria.
Se effettivamente le cose andarono in questi termini, non ci stupiamo del fatto che le città vennero letteralmente inghiottite in un mare di fuoco e di zolfo. Il problema è che un simile evento non potrebbe aver determinato, come in effetti è avvenuto, una sterilità irrecuperabile dell’intera vasta area attorno al Mar Morto. Ancora oggi qualcuno ha tentato di fare attecchire coltivazioni di frutta in quella terra senza riuscirci perché la semenza non ha potuto in alcun modo svilupparsi su quel terreno.
Un tale fenomeno, a distanza di quattromila anni, sembra assai strano e potrebbe invece far propendere per un qualche tipo di esplosione di origine nucleare o quanto meno ad essa assimilabile dal punto di vista degli effetti e delle terrificanti conseguenze. Un altro fatto che non sembra far propendere per la naturalità dell’evento è proprio il testo biblico con il prologo rappresentato dall’incontro tra Abramo e Jahvè accompagnato nella circostanza da due messaggeri.
Tre personaggi che nel racconto biblico tutto hanno tranne che le caratteristiche che ci si aspetterebbe di trovare in un incontro spirituale con il Padreterno. Sono uomini in carne ed ossa che hanno bisogno di mangiare e di riposare e che parlano con Abramo in modo naturale e non in un ambito di attenuazione della coscienza così come dovrebbe avvenire in una visione estatica con il Divino.
La stessa minaccia proferita da Jahvè sul castigo che ha intenzione di infliggere alle due città e la sua intenzione di mandare sul luogo proprio i due messaggeri per controllare di persona come stanno le cose, sembrano far propendere per un’azione più umana che divina, ma soprattutto non di origine naturale: si potrebbe quasi parlare della conseguenza di una qualche decisione presa a tavolino da qualcuno che aveva un grande potere.
Giunti a Sodoma i due uomini vanno nella casa di Lot nipote di Abramo e vengono da lui accolti e ospitati, nonostante le minacce dei cittadini della stessa città che vorrebbero invece abusare sessualmente dei due ospiti. Lo stesso Lot, per difendere i due inviati di Javhè, propone ai suoi concittadini di offrire al posto loro le sue due figlie adolescenti, una scelta questa che dovette costargli non poco, soprattutto in termini affettivi. E qui avviene un’altra scena francamente indecifrabile: si dice che, di fronte alle reiterate minacce dei Sodomiti che cercano di violare la casa di Lot, i due messaggeri mettono in atto un’arma di difesa assolutamente non convenzionale, consistente in un bagliore accecante che mette fuori combattimento tutti quelli che si trovano fuori dell’abitazione.Un’arma che sembra anche profondamente incongruente con il livello tecnologico di quel tempo. Che cosa voglia intendere il testo con una simile espressione non lo sappiamo ma si trattò sicuramente di un qualcosa di abbastanza potente in grado appunto di ferire o uccidere all’istante un gran numero di persone.
A quel punto, dopo aver liberato la casa dalla precedente minaccia, i due misteriosi personaggi accompagnano Lot, sua moglie e le figlie fuori dalla città, poco prima che Sodoma sia fatta oggetto dell’ira divina. La moglie di Lot, non dando retta all’invito pressante dei due ospiti di non voltarsi indietro per alcun motivo, spinta forse dalla curiosità, si gira e viene trasformata all’istante in una statua di sale. La traduzione letterale dall’ebraico antico potrebbe significare con più probabilità che la poveretta, che non si limitò evidentemente solo a voltarsi, venne probabilmente disciolta volatilizzandosi all’istante così come successe alle povere vittime di Hiroshima settanta anni fa. In alternativa la donna potrebbe anche aver semplicemente subito le conseguenze a cui vanno incontro coloro che guardano un’esplosione atomica senza utilizzare gli occhiali speciali di protezione.
Ora è evidente che solo un’immane catastrofe nucleare, o qualcosa di assimilabile, sarebbe in grado di rendere, a causa anche delle terribili e persistenti radiazioni, la terra non più utilizzabile a distanza anche di secoli e millenni. Cosa che, come abbiamo visto, sembra essersi verificata puntualmente anche se, oggi come oggi, di radiazioni nella zona non sembra essercene più traccia. Di sicuro, in seguito ad un’esplosione atomica, soprattutto se di potenza superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, è alquanto difficile trovare, per giunta a distanza di millenni, resti apprezzabili dei relativi insediamenti umani. La potenza di un fungo atomico sarebbe effettivamente in grado di volatilizzare, sciogliere tutto quello che si trova in un raggio di azione di svariati chilometri. Una devastazione che sembra di gran lunga superiore a quella della ipotizzata fuoriuscita di gas naturale dal suolo in seguito ad un terremoto.
In attesa di nuovi possibili riscontri archeologici che possano in qualche modo contribuire a diradare la cortina di mistero che continua ad avvolgere l’inspiegabile episodio biblico, possiamo solo dire che qualcosa di molto strano e terribile deve essere successo in quell’area circa quattro-cinquemila anni fa. Un qualcosa che assomiglia terribilmente a quanto accaduto nella zona di Tunguska a inizio secolo in Siberia e che ancora oggi non ha trovato spiegazioni attendibili e… tranquillizzanti.