Nella zona desertica del Tassili N’Ajjer, situata a sud est dell’Algeria, in un infuocato altipiano che si estende per circa 500 chilometri, si trova una delle zone più interessanti dal punto di vista dell’arte neolitica e primitiva. Una zona tanto importante da essere diventata Parco Nazionale e Patrimonio dell’Umanità. Nel non lontano 1933 infatti un ricercatore archeologo francese, Henri Lhote, fece una scoperta sensazionale: sulle tante pareti rocciose della zona, martellate incessantemente dal vento e dal sole, i nostri antenati, che vissero in quel territorio in un lungo periodo che va dal 10.000 al 500 a.C, fecero migliaia di incisioni con vari soggetti, sia umani che animali, che sono giunte praticamente intatte fino a noi e che rappresentano una preziosissima testimonianza su quella misteriosa civiltà.
Le rappresentazioni in esame possono essere classificate in cinque periodi che vanno appunto dal primo periodo, cosiddetto “Bubalico” che va dal 10.000 al 6.000 a.C., all’ultimo periodo cosiddetto “Camelino” che ebbe il suo inizio dopo il 400 a.C. Le raffigurazioni che lasciarono più interdetto e stupefatto il ricercatore appartengono al secondo periodo chiamato “Periodo delle teste vuote” in quanto vi si vedono raffigurate stranissime figure di esseri umani con appunto teste rotonde apparentemente vuote e rivestiti spesso con strani abiti tanto da far dire a qualche ricercatore meno allineato che saremmo in presenza di raffigurazioni di antichi astronauti con tanto di caschi e di tute.
Tra tutte una in particolare, di cui si può apprezzare un fedele schizzo all’inizio dell’articolo, attirò l’attenzione di Lhote, una raffigurazione alta ben sei metri e che sembra raffigurare uno stranissimo individuo umanoide ricoperto da una strana tuta e con la testa racchiusa in quello che sembra, non ci vuole molta fantasia, una sorta di scafandro. Questa non è l’unica figura con queste caratteristiche perché il motivo si ripete in raffigurazioni analoghe, qualcuna delle quali sembra addirittura fluttuare in aria, anche se, quest’ultima caratteristica potrebbe essere frutto proprio del petroglifo in grado di dare questo strano effetto ottico.
Il ricercatore francese chiamò questa figura decisamente surreale e “impossibile” “il grande dio marziano“. Poi lo stesso, vedendo che in apparenza quella era l’immagine di un uomo nudo con tanto di casco-scafandro, concluse che in verità doveva trattarsi, in modo più plausibile, della raffigurazione di un uomo con un copricapo di origine rituale. Se guardiamo il disegno, assolutamente fedele, messo in capo all’articolo, non possiamo non rimanere stupiti da quelle che sembrano essere similitudini per nulla campate in aria. Il cosiddetto casco aderisce al resto del corpo grazie a quelle che sembrano delle giunture a incastro tipiche dei caschi degli odierni astronauti, mentre il resto del corpo, lungi dall’essere la raffigurazione assolutamente imperfetta di un uomo nudo, ci pare essere invece la rappresentazione di una qualche forma di tuta per giunta non perfettamente aderente al corpo, anche questa un’altra particolarità che sembra rimandare di nuovo alle tute dei nostri odierni astronauti.
Se riflettiamo un attimo, potremmo a questo punto chiederci come avrebbe potuto un uomo primitivo rappresentare un essere con tanto di casco e tuta e la risposta non può che essere del tutto simile a quanto troviamo raffigurato in quelle pietre. Un disegno che sembra fatto da un bambino delle elementari ma che riesce a cogliere singoli particolari di cui ovviamente l’artefice non era in grado di capire il significato e che, in qualche modo, ha provato a descrivere pedestremente. Ovviamente se così fosse saremmo di fronte ad un immagine impossibile perché sette mila anni fa non esisteva ancora l’Ente Nazionale Spaziale americano né quello russo. Ma allora chi è il gigantesco individuo rappresentato così vividamente su quella roccia? Anche le dimensioni fanno propendere per un qualcosa di assolutamente fuori dal comune almeno agli occhi dei poveri uomini che abitavano quelle zone in tempi remoti, un qualcuno che avrebbe potuto essere assimilabile ad un dio.
Non sono mancate ovviamente anche le tesi contrarie all’ipotesi di possibili visitatori da mondi alieni. Due in particolare ci sembrano comunque plausibili. In primo luogo quella di alcuni ricercatori antropologi che hanno immortalato nella zona presso il Lago Ciad, l’usanza della popolazione attuale di seppellire i corpi dei defunti ricoperti di bende e con la testa coperta da una giara. E’ evidente anche in questo caso, vedendo le foto scattate dai ricercatori, l’incredibile somiglianza con le immagini raffigurate sulle rocce del Tassili. Si potrebbe dire però che queste ultime non sembrano raffigurare dei morti ma uomini vivi in quanto sono raffigurazioni in verticale e non in orizzontale, ma anche qui ci sarebbe la spiegazione perché i popoli del Ciad, discendenti degli antichi incisori di pietra, sono soliti seppellire i loro morti seduti su una specie di scalino di terra e quindi con il busto in verticale.
Un’obiezione sicuramente più efficace potrebbe essere quella di vedere nello strano rito funebre dei giorni attuali come una sorta di antico retaggio del tempo remoto in cui esseri scambiati per Dei scesero sulla terra e vennero rappresentati come giganti dalle strane fattezze forse per il semplice motivo che alla mente semplice degli antichi abitanti del neolitico la loro superiorità tecnologica era in grado di incutere timore se non addirittura paura. Un’altra teoria alternativa vede negli strani disegni la semplice rappresentazione di un processo di allucinazione dovuto all’uso di particolari funghi di cui ci sarebbe pure la rappresentazione su diversi altri petroglifi. Quindi i presunti astronauti del deserto dei Tassili non sarebbero altro che la raffigurazione di uno stato allucinatorio di trance da parte degli sciamani del tempo, in grado in questo modo di entrare in contatto con altre dimensioni. Teoria anche questa interessante che avrebbe bisogno di ulteriori approfondimenti e che potrebbe gettare anche una luce diversa sui poteri della psiche umana soprattutto se modificata dall’uso di sostanze psicotrope. Sappiamo che le più grandi veggenti dell’antichità, vedi in particolare la Pizia di Delfo e la Sibilla Cumana, erano solite ricorrere a sostanze allucinogene che permettevano loro di “inabissarsi” in dimensioni misteriose e sconosciute. Dimensioni nelle quali sarebbe stato possibile gettare uno sguardo anche nel futuro. Non sarebbe quindi neppure da escludere a questo punto che le immagini “assurde” del deserto algerino possano essere state solo il frutto di esperienze extra dimensionali di maghi sciamani, in grado, in questo caso, di prevedere forse addirittura il futuro e cioè… il nostro presente.