Seconda parte
(se ti sei perso la prima parte, clicca qui)
Il Libro dei Segreti di Enoch e l’Apocalisse di Paolo, entrambi non riconosciuti dalla Chiesa, rappresentano un’anomalia nel panorama delle scritture che ruotano attorno al Nuovo e al Vecchio Testamento. Infatti i due testi, pur scritti a distanza di millenni, sembrano riferirsi ad una medesima esperienza, ad un uguale percorso-viaggio compiuto al di fuori della realtà terrestre o terrena. Due cronache che, pur nella differenza di base dovuta probabilmente alla diversa personalità dei due protagonisti, contengono incredibili e, per certi versi, sorprendenti analogie.
Entrambe le cronache, perché questa ci sembra la definizione in grado di avvicinarsi maggiormente alle intenzioni dei due autori, narrano in prima persona il “rapimento” degli stessi da parte di strani essere spirituali o di luce, e il successivo viaggio fino ad una dimensione extra terrena o ad un luogo infinitamente distante nel cosmo, una sorta di cosmogonia fatta di diversi livelli di perfezione e di ascesa spirituale. In entrambi, infatti, assistiamo ad un’interessante quanto misteriosa commistione di spirito, materia, tempo ed energia. Una commistione che si fa sempre più profonda fino al raggiungimento, nel caso del solo Enoch, della visione diretta, personale, terribile e terrificante di Dio stesso.
Entrambi i viaggiatori, arrivati all’apice del loro viaggio ricevono una misteriosa conoscenza di cui il solo San Paolo evita di descrivere limitandosi a dire di aver udito “parole arcane che agli uomini non è lecito pronunciare“, anche perché sarà lo stesso angelo accompagnatore a dargli l’ordine di non rivelare alla terra quanto potrà vedere ed essergli rivelato in quella misteriosa dimensione apparentemente fuori dal tempo e dallo spazio. Enoch invece, dopo essere stato direttamente al cospetto di Dio, riceve l’incarico di scrivere un libro che contiene la conoscenza dei misteri della vita e della creazione, un libro che gli viene dettato dall’entità angelica Vereveil. Dopo avere scritto questo misterioso libro lo stesso Enoch riporta, a differenza di Paolo e anche se in modo comunque oscuro, quello che Dio gli ribadisce riguardo agli arcani meccanismi della creazione. Apprendiamo così in modo forse anche simbolico come Dio stesso abbia “creato dal non essere all’essere e dall’invisibile al visibile” e come “prima che fossero tutte le cose visibili, si aprì la luce e io in mezzo alla luce passavo come uno degli invisibili” e poi come lo stesso Dio diede ordine nelle profondità che una delle cose invisibili salisse visibile. Tutto questo misterioso meccanismo sembra in qualche modo richiamare alla nostra mente la relazione esistente nel mondo subatomico tra la mente e la volontà dell’uomo e il venire alla luce delle più piccole particelle che da potenziali diventano all’improvviso reali rispondendo al richiamo del ricercatore-creatore. Contemporaneamente quell’aprirsi della luce di cui sopra potrebbe in qualche modo anche riferirsi ad una sorta di primordiale incipit, conseguenza diretta di un incredibile accumulo e poi rilascio di un’enorme quantità di energia in grado di provocare l’espansione di quello che chiamiamo universo.
L’oscuro testo di Enoch, a differenza di quello paolino, in genere assai meno descrittivo e più mirato all’aspetto morale, sembra gravido di suggestioni cosmologiche e di analogie con quanto i fisici quantistici stanno scoprendo nelle pieghe dell’infinitamente piccolo. Se pensiamo che questa conferma ci viene data dal racconto di un uomo vissuto diverse migliaia di anni fa ce n’è a sufficienza per rimanere sbalorditi.
Entrambi i viaggiatori poi ritornano sulla terra per raccontare ai fratelli la loro incredibile esperienza e per ammaestrare l’umanità sui rischi che corre se non seguirà gli insegnamenti e la legge di Dio. Diciamo subito che, leggendo attentamente i due testi, saltano all’occhio diverse incredibili analogie, apparentemente inspiegabili se non con il fatto che le due opere sembrano appunto riferirsi ad una medesima esperienza. Entrambi i protagonisti narrano di essere stati rapiti da esseri definiti semplicemente “spirituali” da San Paolo, mentre Enoch ne da una descrizione molto più dettagliata: “mi apparvero due uomini grandissimi come mai ne avevo visti sulla terra. Il loro viso era come sole che luce, i loro occhi come lampade ardenti, dalle loro bocche usciva un fuoco, i loro vestiti una diffusione di piume, e le loro braccia come ali d’oro“. Un’altra analogia riguarda le modalità del viaggio che viene effettuato sempre in compagnia degli esseri di luce, e che viene descritto come un salire al cielo, con una maggiore descrizione da parte di Enoch che racconta di essere stato trasportato sulle loro ali, mentre Paolo si limita a dire di aver seguito l’angelo “Sotto l’impulso dello Spirito Santo“. Un’altra analogia riguarda l’esistenza ai limiti della terra e quindi ai piani più bassi di un universo concepito da entrambi come formato da differenti livelli, di una grande massa di acqua che Enoch pone al primo cielo mentre Paolo la fa situare alle porte del cielo ovvero prima del Firmamento considerato a sua volta come primo cielo. Un’analogia che ci lascia stupefatti e che potrebbe riferirsi ad una sorta di zona di transito, intesa o come oceano in senso fisico, sconosciuto allora agli abitanti delle terre attorno al Mediterraneo, o come zona delimitante la realtà tridimensionale che ci avvolge.
Poi, andando avanti nella lettura incrociata dei due testi, scopriamo che nel secondo cielo Enoch parla dell’incontro con “angeli condannati” per essersi macchiati di “Apostasia“, mentre Paolo, più o meno allo stesso livello, riferisce di “angeli senza misericordia, sprovvisti di qualsiasi misericordia, sprovvisti di qualsiasi pietà, dal volto pieno di collera e dai denti che fuoriuscivano dalla bocca…dai capelli della loro testa e dalla loro bocca uscivano scintille di fuoco“. Una descrizione che sembra richiamare anche precise e misteriose tecnologie, assolutamente indecifrabili agli occhi di un uomo di duemila anni fa.
Andando avanti nel racconto scopriamo che entrambi arrivano al terzo cielo, la sede del Paradiso, e qui la descrizione che viene fatta, per rendere almeno un’idea di come è strutturata la dimora dei giusti, sembra incredibilmente coincidere. In entrambi i testi si parla infatti di un bellissimo e vastissimo giardino dotato di alberi rigogliosi e di splendidi e maestosi fiumi ( Paolo addirittura parla di fiumi di latte e miele, evidentemente una sorta di metafora descrittiva); in mezzo ad entrambi i giardini si trova l’Albero della Vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, citato sia da Paolo che da Enoch. Paolo aggiunge anche il particolare che questa terra promessa è sette volte più splendente dell’argento, il numero sette potrebbe far pensare al concetto di “infinitamente” più splendente. Forse potrebbe trattarsi di un mondo-pianeta situato a siderali distanze spazio-temporali e illuminato da una stella molto più potente del Sole, oppure semplicemente di un mondo ultra dimensionale illuminato da una luce spirituale infinitamente superiore alla nostra: il dubbio rimane e ci conferma quanto questo misterioso posto sia comunque quasi indescrivibile per la mente umana e totalmente diverso da quello a cui siamo abituati.
L’analogia, forse più terrificante e inquietante al tempo stesso, riguarda invece la descrizione del luogo di pena eterna riservato a coloro che non rispettano la legge di Dio. Nei due testi si parla di un fiume di fuoco, di disperazione, tenebre, supplizi, gelo, freddo, con una descrizione che in Paolo, questa volta, si fa più realisticamente dettagliata di Enoch che si limita ad una descrizione più concisa e riassuntiva anche se comunque ugualmente completa. Ci colpisce in Paolo l’accenno ad un grande pozzo dell’abisso che viene sigillato ogni volta che un’anima vi viene fatta entrare: tremenda pena per chi non riconosce la venuta del Cristo nella carne e per chiunque non crede che nel calice e nel pane sono contenuti il Sangue e il Corpo di Cristo.
Incredibile è comunque la descrizione in entrambi i testi degli stessi tormenti, un’analogia che ci lascia stupefatti e che non si può semplicemente attribuire a comuni fonti e tradizioni a riguardo: stiamo infatti parlando di due uomini vissuti in epoche distanti migliaia di anni. Un altro particolare che ci colpisce è il fatto, perfettamente in linea con quanto ci viene descritto nei Vangeli nel capitolo sulla trasfigurazione, dell’incontro in Paradiso, da parte del solo Paolo, con gli stessi patriarchi e personaggi dell’Antico Testamento, tra i quali, udite, udite, si trova lo stesso Enoch. Anche nella famosa scena descrittaci dai testi evangelici e relativa alla trasfigurazione del Cristo, si parla dell’improvvisa apparizione, in carne ed ossa del profeta Elia e di Mosè, una presenza fisica che viene confermata nell’Apocalisse di Paolo che fa la conoscenza con Enoch, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Lot, Giobbe, Noè, Elia, Eliseo, Zaccaria, Giovanni, Abele e lo stesso Adamo, e con altri profeti dell’Antico Testamento tra i quali anche Isaia, Ezechiele, Geremia, Amos e Michea. Tutti questi illustri uomini, vissuti centinaia e anche migliaia di anni prima di Paolo, ci vengono descritti non come fantasmi o esseri eterei ma come personaggi in carne ed ossa, tutti però con una caratteristica in comune: la loro fisicità, reale e presente, è in qualche modo resa più luminescente da una luce misteriosa che ne trasfigura le fattezze così come, nel racconto evangelico, si trasfigura il volto e il corpo di Cristo. Appunto questa luce misteriosa è il comune denominatore in entrambi i testi, una luce che sembra descrivere una qualche forma misteriosa di energia infinitamente potente e a noi sconosciuta, un’energia che potremmo pure azzardare a chiamare Spirito Santo e che sembra pervadere non solo queste due fantastiche esperienze, ma l’intero Nuovo Testamento. Di questa misteriosa luce, dell’arrivo al settimo cielo del solo Enoch e infine del ritorno sulla terra per entrambi questi due incredibili viaggiatori parleremo nella terza parte di questa nostra pur breve e incompleta analisi.
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