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Innovazione sociale in Italia, questa sconosciuta

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È iniziata una corsa contro il tempo a chi costruisce le piste ciclabili più ingombranti, a chi elargisce più bonus per macchine ecologiche e monopattini. Purtroppo nessuno ha capito che non serve a niente.

In Italia si parla pochissimo di innovazione sociale, una strana combinazione di parole che non sembra neanche adattarsi al nostro paese. Non si incastra, non c’è spazio. Eppure, appare imminente la necessità di rendere tutti dei ciclisti incalliti, di comprarsi assolutamente un monopattino che raggiunge i 30 km/h e di andare a lavoro a piedi.

Si parla di salvare il pianeta, di trasformare i controviali in piste ciclabili e sopratutto, di non muoversi mai più comodi. Questa non è innovazione sociale, questo è un delirio collettivo in cui a stento si cerca di comprendere l’obiettivo. Vogliono affossare le aziende automobilistiche? Vogliono renderci tutti più lenti e nervosi?

Guardiamo ai fatti

In Italia il sistema di trasporto più utilizzato è l’auto, che inquina meno del riscaldamento di casa, che inquina meno di qualcuno che accende un grande fuoco per bruciare legna e sterpaglie dell’orto. Pensiamo però di assecondare le – pur sempre nobili – istanze ecologiste e voler prendere un bus: scioperi a singhiozzo, lavori in corso a sorpresa, ritardi che si accumulano, frequenti guasti.

Il viaggio diventa davvero un avventura piena di colpi di scena. Quindi, senza fare tanti conti, bisogna investire nei trasporti. Bisogna comprare mezzi, dare lavoro. L’alta velocità è stata sì un sinonimo di innovazione sociale, Torino Roma in quattro ore. Eppure la costa Est è stata del tutto ignorata, nessuno va da Venezia a Foggia in quattro ore.

L’Italia è collegata da strade costose e sempre da sistemare, da treni che funzionano solo a volte e solo in certi luoghi, da bus raramente in orario. Poi qualcuno, forse arrivato da un viaggio a Bruxelles, ha detto: le bici cavolo!

A tutto questo si aggiunge che oggi ci sono le misure di sicurezza

C’è un epidemia in corso, bisogna fare attenzione, la seconda ondata è sempre in agguato. Però le scuole decidiamo di riaprirle, scegliamo di mandare la gente a lavoro e di fare tutto questo pensando che le persone volino magicamente dal punto A al punto B. Chi sceglierà la macchina, per la propria sicurezza, verrà condannato ad occhiatacce ed etichettato come incivile.

Le persone che invece proveranno ad intraprendere l’avventura dei mezzi di trasporto, rimarranno probabilmente a casa per mancanza di posti; oppure, visto che il lavoro è l’unica strada per tirare a campare, faranno un compromesso: sceglieranno di rimanere congestionate tra una mascherina e l’altra, facendosi beffe del distanziamento sociale.

Se non si vuole dipendere da casuali e miracolosi eventi celesti, amministrazioni locali ed istituzioni nazionali dovrebbero tentare di spendere qualche soldo in più, di modo da farci arrivare prima tanto a lavoro, quanto a casa: che d’altra parte, sarebbe anche un ottimo metodo per seguire le raccomandazioni dei nostri medici.

 

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Di Arianna

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