L’ultimo spot pubblicitario dell’azienda Lavazza ha suscitato un polverone di polemiche che, come spesso accade in Italia, hanno cristallizzato l’opinione pubblica su due contrapposte fazioni.
di Gabriele Tebaldi
Tuttavia occorre notare come il tifo da stadio che si è creato attorno a questa vicenda non abbia toccato il vero problema posto in essere da questa trovata commerciale. Il nuovo spot della Lavazza riprende infatti il discorso finale della famosa pellicola “Il dittatore” di Charlie Chaplin, che richiama il principio di un senso di umanità che dovrebbe essere condiviso in tutto il mondo.
Se da una parte la pellicola immortale del socialista, e anti capitalista, Chaplin, può rappresentare un messaggio condivisibile e privo di intenzioni provocatorie, dall’altra le immagini scelte dalla Lavazza per far da sfondo al discorso richiamano invece una precisa ideologia politica.
Tra l’immagine dell’agente di polizia
che con il manganello in mano sembra avvicinarsi minaccioso verso una coppia intenta a baciarsi in mezzo alla strada, un’immagine omosessuale, e l’insistente richiamo ad una società multietnica, lo spot sposa così l’ideologia di un globalismo anarcoide, dove confini, barriere e polizia sarebbero solo un intralcio al libero sviluppo umano.
Il mondo mainstream progressista ha ovviamente giubilato e applaudito alla “coraggiosa” scelta di Lavazza. Dall’altra parte della barricata gli esponenti della destra conservatrice, hanno gridato allo scandalo, indignandosi particolarmente contro “l’immagine gay”.
Entrambe queste posizioni
hanno però un limite di lettura evidente e che non tiene in considerazione un aspetto basilare: ovvero che dietro lo spot di Lavazza non c’è nessuno slancio idealistico o impegno politico, ma solo il mero calcolo commerciale.
Per quietare i sogni di gloria dei progressisti di casa nostra e l’indignazione dei destroidi occorre ricordare infatti che Lavazza è un’azienda privata il cui unico scopo è il profitto, e che ha deciso di sfruttare un chiaro messaggio politico per aumentare le sue vendite. A dimostrazione di questo sta l’evidente dissonanza tra il montaggio del discorso di Chaplin e il richiamo finale all’acquisto del prodotto. Come nelle più squallide televendite, anche in questo caso si cerca di smuovere la parte emotiva del potenziale cliente, abbassandone le difese, invitandolo infine all’acquisto.
È il capitalismo becero di un’azienda che si pulisce la coscienza di fronte alla società, sposando semplicemente la corrente politica che potrebbe far aumentare le vendite.
Con buona probabilità, se vivessimo negli anni ‘30, queste aziende non avrebbero esitato a fare pubblicità con il sottofondo di Faccetta Nera.
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