L’esperienza del ventennio berlusconiano non sembra aver insegnato nulla al sistema partitico sull’ABC dell’opposizione: la personalizzazione del dibattito politico è il miglior regalo possibile per l’avversario di turno.
Quella in cui siamo immersi da settimane è senza dubbio una delle campagne elettorali più kafkiane alle quali sia mai stato possibile assistere. Non si tratta semplicemente di una situazione irragionevole e apparentemente senza via d’uscita, quanto piuttosto di una condizione di paradosso ricercata, accettata di buon grado ed alla quale ciascuna delle forze politiche non ha la benché minima intenzione di rinunciare. Si parla di ogni sorta di vacuità: di striscioni, pupazzetti, voli di stato, presenze al ministero, soap opera elettorali all’interno dell’esecutivo gialloverde, antifascismo al caviale, professoresse un po’ naif e perfino della retribuzione di Fabio Fazio.
Insomma, si parla davvero di tutto, fuorché delle agende programmatiche con le quali i partiti dovrebbero convincerci ad esprimere una preferenza per loro tra meno di una settimana. Certo, trattandosi di elezioni europee non stiamo andando incontro ad una scadenza che determinerà automatici stravolgimenti in seno alla maggioranza, ma dato che l’Europa, così com’è strutturata, si è rivelata essere la più grande incognita per lo sviluppo del paese, verrebbe naturale attendersi una maggior propensione a trattare ipotetici scenari e progetti per riformare – o per distruggere – questa istituzione in rovina.
Una strategia efficace?
A ben vedere però tutti questi argomenti di contorno, a metà tra il gossip e le inchieste da giornaletto scolastico, hanno un minimo comun denominatore ben preciso; il riferimento va naturalmente a Matteo Salvini, che come si piò notare dal summenzionato elenco, continua ad accrescere il suo effetto polarizzante, assumendo sempre più il ruolo di costante epicentro di ogni dibattito pubblico e mediatico.
Una strategia che l’opposizione – tanto quella autentica, quanto quella interna al governo – continua ad adottare per sfiancarlo e metterlo alle corde, senza però fare i calcoli con i dividendi effettivamente riscossi grazie a questo investimento. Non v’è dubbio che il vicepremier leghista stia accusando per la prima volta dall’assunzione del suo incarico una leggera flessione negli indici di gradimento, ma siamo sicuri che i suoi avversari stiano ottimizzando ciò che le contingenze hanno portato loro in dote?
L’assenza di analisi nel merito
La risposta è un no, categorico, secco e squillante. Il calo di consensi cui si accennava poc’anzi è poco più che impercettibile e risulta inesistente se raffrontato al crollo che il Ministro dell’Interno potrebbe subire se affrontato in modo diverso. I continui attacchi mirati al Matteo Salvini membro della comunità civile, finiscono inevitabilmente per offuscare l’attività del Matteo Salvini vertice istituzionale, evitando di conseguenza un’analisi nel merito circa le manovre, le scelte, le responsabilità, i successi e soprattutto gli insuccessi conseguiti in qualità di capo del Viminale.
Proviamo a domandarci quanto avrebbe potuto risentire la Lega, se le critiche fossero state costruite in modo meno infantile e più pragmatico. Quanti punti percentuali avrebbe perso il vicepremier se anziché polemizzare sulla sua dieta, ci si fosse focalizzati sulla mancanza di risposte sui mezzi per affrontare lo spettro delle clausole di salvaguardia? Se anziché deridere il tasso di colesterolo nel suo sangue, si fosse fatto cenno alla politica estera disastrosa, quando non del tutto inesistente? Oppure se si fosse stato enfatizzato di fronte ai suoi elettori euroscettici, il repentino cambio di dialettica – ora molto più diplomatica e meno secessionista – nei confronti dell’Europa? O ancora, se anziché evocare il timore di un rigurgito fascista ad ogni soffio di vento, qualcuno avesse puntato l’indice verso la revisione del numero di irregolari sul nostro suolo e sulla mancanza di accordi internazionali per i tanto sbandierati rimpatri?
Berlusconi docet
La musica sarebbe stata notevolmente diversa da una flessione attorno allo zero virgola; e questo poiché le lacune del governo (al netto dell’ostruzionismo di facciata millantato dai grillini per finalità elettorali) sono molteplici ed evidenti. Eppure, i suoi detrattori non sembrano voler sfruttare nessuno degli innumerevoli assist presenti sul piatto, al fine di mettere in piedi un’opposizione costruttiva per il paese e distruttiva per il segretario del carroccio.
La personalizzazione del dibattito politico, così come insegna il ventennio berlusconiano, non porta nulla di buono se non per l’obiettivo che viene posto al centro del mirino; l’effetto percepito dalla comunità è quello di un martirio, di una persecuzione, della cospirazione nei confronti di un benefattore ostacolato dai suoi avversari per invidia o sete di potere. E come abbiamo già sottolineato, per un popolo che si è recentemente sentito martoriato, la figura del martire è quella con cui è più facile identificarsi. Quando i partiti inizieranno a mettere in pratica questo semplice abecedario dell’opposizione, forse, anche la Lega inizierà a perdere qualche colpo. Un primo passo da cui cominciare, volendo offrire un esempio gratuito, potrebbe essere quello di non rinfacciare a Salvini il suo assenteismo al Viminale, nella stessa epoca in cui l’italiano medio non desidera altro che un politico che stia in mezzo alla gente.