Sui social e sui giornali la borghesia italiana ha gli occhi lucidi di commozione vedendo finalmente un riconoscibile rappresentante dei propri criteri di eccellenza al timone del paese. L’argomento fondamentale che viene promosso a sostegno di questa adesione, che è invero innanzitutto emotiva, di pelle, è che Draghi è un “competente“, e che ha messo nei ruoli chiave dei “competenti”.
di Andrea Zhok
Tuttavia, il discorso qui è un po’ più complicato di come ci viene spacciato. Da un lato è vero che “non tutti possono fare tutto“, e che un certo grado di competenza, di esperienza e studio in un settore, è un viatico essenziale per poter svolgere un ruolo politico apicale, come la gestione di un ministero.
Questo è particolarmente vero nel caso di chi voglia svolgere una politica innovativa, perché in assenza di una robusta competenza non può che affidarsi all’expertise dei burocrati ministeriali, che sono una potente forza conservatrice (non apri il Parlamento “come una scatoletta di tonno” se sei privo di apriscatole).
Detto questo, bisogna fare bene attenzione prima di glorificare la competenza nelle forme che stiamo vedendo in questi giorni. L’idea qui sembra essere che il “competente” sia tale in modo specialmente lodevole se proviene dai vertici di grandi organizzazioni internazionali, se ha già ricoperto ruoli apicali in grandi istituzioni finanziarie, bancarie, industriali, universitarie, ecc.
Ora, il problema che viene lasciato sotto traccia adottando questo criterio di “competenza” è che i soggetti che provengono da queste grandi istituzioni sono fatalmente degli insider.
Sono cioè soggetti che hanno potuto fare la carriera che hanno fatto perché hanno accettato il sistema esattamente per come si presentava loro, ne hanno onorato le regole, hanno mostrato affidabilità nell’incarnarle e implementarle, hanno obbedito agli indirizzi egemonici nell’impianto ideologico, si sono anche indebitati moralmente con altri membri del medesimo establishment, che ora sanno di poter contare su di loro.
In ciò di principio non c’è niente di male. Funziona così in ogni società ed in ogni tempo, per le carriere apicali all’ombra dei faraoni, o degli imperatori, o dei papi. Il problema è cosa significa questo nel contesto europeo (italiano) odierno.
Lodare i “competenti” in grazia della loro “eccellenza” e “rappresentatività” alla guida del paese significa in concreto incoronare non qualcosa di neutro e tecnico come la conoscenza pratica, ma qualcosa di ideologicamente ben definito, cioè l’appartenenza organica al sistema capitalistico internazionale e alle sue oligarchie finanziarie.
Che l’alta borghesia italiana, quella che possiede l’apparato mediatico, sia di ciò entusiasta e ci tenga a farvelo sapere è nell’ordine delle cose: non stanno fingendo, è sincero entusiasmo il loro, e ne hanno ben donde. Che di ciò si entusiasmi la media e piccola borghesia, o addirittura la vasta maggioritaria distesa di chi lotta per tenere la testa sopra l’onda ogni giorno, beh, questo è un triste fraintendimento.
Non c’è niente di “neutrale” in questa esibizione di “competenze”, di eccellenze apicali. Si tratta di una rappresentanza ideologicamente compattissima di ciò che ci ha portato negli ultimi vent’anni ad un’economia stagnante, ad un’esplosione delle differenze reddituali, alla crisi del 2008, alla desertificazione dello stato sociale, alla riduzione della scuola pubblica a fabbrichetta di capitale umano a basso valore aggiunto, ecc. ecc.
Qui sbaglia completamente chi pensa, scottato dalle volgarità dei Papete Beach o dalla comicità involontaria dei vari peones parlamentari, che il punto sia avere un premier che si presenta con dignità.
Il punto qui non sono le persone. Sono certo che tutti i “competenti” nel nuovo governo, a partire dal presidente del Consiglio, siano persone educate, che non ruttano a tavola, non sbagliano i congiuntivi, e magari sono anche spiritosi e piacevoli conversatori.
Solo che a prescindere da questi aspetti pregevoli, essi sono soggetti formati in maniera univoca, per proporre e riproporre uno specifico modello di società, quello che ha come sua unica meta accreditata l’accresciuta riproduzione del capitale.
Questa formazione non è qualcosa che i nostri “competenti” dominano, come se fosse una qualità che possono decidere di esercitare o di dismettere. No, questa formazione sono loro, senza resti.
Nella replica del presidente del consiglio di ieri, tra le varie espressioni curiose mi ha colpito una frase utilizzata nel rispondere ad una sollecitazione sul problema dello “sviluppo sostenibile“. Nella risposta il presidente Draghi parlava di “necessaria tutela del capitale naturale”.
Ecco, in questa espressione c’è in nuce già tutto. Il “competente” non è cattivo. Riconosce le critiche e i problemi. Solo che ha montato internamente un traduttore automatico.
Dove tu vedi l’ambiente, il mondo, la natura, la salute del pianeta, la preservazione degli habitat e degli umani in essi, egli vede l’oculata gestione di una forma di capitale, il “capitale naturale“, che esiste accanto non alla formazione umana ma al “capitale umano“, non a leggi e tradizioni, ma al “capitale sociale“, ecc. E un capitale è ben gestito se riusciamo a farlo fruttare in modo duraturo, dunque certo che ci sta a cuore lo “sviluppo sostenibile”!
Solo che alla fine tutto ciò può coincidere con l’interesse degli umani e dei viventi solo per una fortunata coincidenza: in ultima istanza a governare la gestione del capitale naturale, umano, sociale, ecc. è stato, è e sarà la sua massima resa, la massima capacità di “creare valore“. Che è il modo in cui il traduttore automatico nella neolingua oligarchica traduce “fare soldi“.
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