“Covid: uscire in zona rossa non è reato”. Lo spiega con dovizia di particolari il sito Laleggepertuttti.it, in un circostanziato articolo in data 11 marzo 2021.
di Diego Fusaro
In particolare, il sito rivela che una coppia è stata assolta dal giudice del tribunale di Reggio Emilia. La coppia era uscita di casa durante la fase dell’arresto domiciliare coatto, detto anche lockdown, ed era perciò stesso stata fermata dalle forze dell’ordine, in coerenza con il famigerato DPCM del marzo 2020.
Poiché aveva fornito un’autocertificazione successivamente rivelatasi falsa, la coppia era stata accusata e il caso era finito in tribunale. È interessante notare come il giudice abbia rilevato che il fatto non sussiste, poiché il DPCM è in aperta violazione della carta costituzionale italiana.
Quod erat demonstrandum, mi permetto di aggiungere sommessamente: è infatti ormai da un anno che una ricca gamma di principi costituzionali vengono, nella lettera e nello spirito, violati in nome dell’emergenza epidemiologica; quasi come se, per combattere il virus, diventasse in qualche modo (non meglio chiarito) legittimo sospendere la Costituzione.
Eppure, se la si legge con attenzione
la Costituzione non afferma, né lascia intendere, che per fronteggiare un’emergenza si possono sopprimere, oltretutto per un anno intero, alcuni principi della Costituzione stessa. Tra questi, oltre al caso specifico del diritto di spostamento, sancito all’articolo 16, mi preme rammemorare l’articolo 17, quello che garantisce la libertà di assemblea per i cittadini italiani.
Mi sembra altresì superfluo ricordare che la differenza tra uno stato democratico e un regime non democratico sta anche nella libertà che solo il primo riconosce ai propri cittadini di fare liberamente assemblea. Il divieto di assembramento è una squallida norma autoritaria che, anziché dover essere rispettata, dovrebbe risvegliare in noi la memoria della Resistenza Partigiana e le annesse modalità operative.
L’ho detto e voglio ribadirlo per l’ennesima volta, onde evitare ogni possibile equivoco: la salute è una cosa importante, come peraltro ben dice la nostra Costituzione all’articolo 32; assai seria è anche la giusta lotta contro l’emergenza epidemiologica e contro quel nemico invisibile che ormai, anche nel lessico comune, è il coronavirus.
Tuttavia, mai e poi mai la giusta lotta contro il virus
e la sacrosanta difesa della salute possono diventare il puntello di giustificazione di politiche che, per fini biosecuritari, limitino la Costituzione nei suoi principi fondamentali. L’intervento del giudice di Reggio Emilia giunge come una prova inconfutabile di ciò che già, in fondo, sapevamo, ma che ad oggi non aveva ancora avuto, purtroppo, l’adeguato e pur doveroso supporto della legge.
D’ora in poi su quali basi ci imporranno il lockdown e l’impossibilità di uscire di casa, quasi fossimo carcerati pur in assenza di reato? Analogamente, quando giuristi e operatori nel mondo della legge faranno con eguale forza valere una giusta opposizione al criminale principio del divieto di assembramento, che da ormai un anno ci costringe a vivere in una situazione che troppi tratti di analogia presenta con i regimi autoritari del 900?
Diceva Seneca, e aveva ragione, che la verità, anche se sommersa, viene infine a galla. La vicenda del giudice di Reggio Emilia ne è una felice conferma. Presto o tardi, anche nel tempo delle fake news e del monopolio della parola e dell’informazione, la verità riuscirà ad affiorare: e, con ciò, emergeranno incontrovertibilmente le responsabilità imperdonabili di chi, per ora, riesce ancora a passare agli occhi della pubblica opinione per eroe.
La verità di cui non mi stancherò di dare testimonianza è la seguente: pura follia è pensare che si possa sacrificare la libertà per garantire la vita; e ciò anche in ragione del fatto che, in assenza della libertà, non vi è vita.
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