Proprio ieri è stato pubblicato l’ultimo report sulla libertà di stampa ai tempi del Coronavirus da parte di Reporter senza frontiere, al cui interno si sottolineava come la qualità dell’informazione sia in questo momento a ridosso del baratro.
di Gabriele Tebaldi
A preoccupare maggiormente però non sono quei Paesi già conosciuti per non appoggiare i principi di una sana democrazia. Insomma nessuno di noi può oggettivamente scandalizzarsi se in Cina o Corea del Nord la libertà di stampa non rientra tra le priorità del governo.
L’allarme dovrebbe scattare invece quando principi quali il controllo ferreo delle informazioni e la spartizione oligopolistica degli editori in pochi grandi gruppi, diventano gli elementi fondativi del sistema di informazione nella parte occidentale del mondo.
Abbiamo già infatti sottolineato
come il Governo Conte abbia superato di gran lunga in autoritarismo il tanto vituperato Orban. A Palazzo Chigi è stata infatti da qualche settimana istituita una task force, che risponde esclusivamente al Governo, e che ha il compito di controllare il flusso di informazioni sul coronavirus. Resoconti al Parlamento di quest’azione? Nessuno. Report sull’attività svolta finora? Neanche l’ombra.
E poi c’è la propaganda martellante, che a reti unificate invita i cittadini ad informarsi solo attraverso “editori responsabili”, che altri non sono se non i tre grandi gruppi editorial finanziari che monopolizzano l’informazione italiana, tessendo allo stesso tempo fitti legami con il mondo politico.
Ecco, prendendo spunto dagli “editori responsabili”, possiamo notare come non solo in svariati casi la qualità dell’informazione fornita da questi sia straordinariamente scadente, ma che talvolta sfoci in narrazioni finanche complottiste.
E’ il caso di Repubblica
che in data 14 maggio usciva con un editoriale dal titolo “La sfida dei sovranisti ai divieti”. Nel pezzo si vuole fare intendere che le uniche voci di dissenso contro le misure di quarantena finora scese in piazza, siano tutte ascrivibili ad un mondo variegato di pericolosi individui: si va dagli estremisti gilet gialli, a non meglio precisati complottisti, estremisti di destra e di sinistra e no vax.
Insomma secondo l’articolista di Repubblica c’è:
un unico filo nero a unire i manifestanti che si oppongono ai provvedimenti sanitari.
Eppure non avrebbe necessitato un grande sforzo intellettivo né logico da parte del repubblichino (inteso come piccolo giornalista di Repubblica), scoprire che le manifestazioni anti chiusure non sono monopolizzate da una non meglio identificata destra internazionale, ma sono animate da centinaia di migliaia di piccoli imprenditori che rischiano non solo il fallimento aziendale, ma anche il futuro personale.
Basti citare la manifestazione che ha avuto luogo lo scorso 6 maggio a Milano e che ha visto protagonisti centinaia di ristoratori, scesi in piazza nel pieno rispetto delle norme sulla distanza fisica, eppure multati lo stesso con un ammenda di 400 euro cadauno. Eguali proteste si sono viste a Palermo e a Firenze, così come in Germania, Francia e in buona parte dell’Europa.
E’ vero quindi che c’è un filo
che unisce le proteste anti quarantena di tutto il mondo, ma non è nero come dice Repubblica, ma rosso, di rabbia.
Ecco in un momento di solenne tragicità con cui ristoratori, commercianti, artigiani, partite iva e molti altri si devono confrontare, gli editori responsabili dovrebbero rappresentare un appiglio, una consolazione, uno strumento di aiuto.
E invece, come in questo caso, vestono i panni dei giullari di corte, quelli che un tempo, per compiacere il sovrano di turno, raccontavano che i campi erano abbondanti di grano, che i contadini erano felicissimi e che i pochi che si lamentavano facevano parte della schiera di scemi del villaggio.
Con buona probabilità saremo costretti a convivere con il coronavirus per i prossimi mesi, tuttavia sono ormai anni che conviviamo con un virus peggiore: quello dell’editoria responsabile.
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