In questa situazione del tutto peculiare e che non si verificava da seicento anni, la tensione nella coesistenza fra due papi è, ci si perdoni il gioco di parole, palbabile.
Nell’omelia natalizia Jorge Bergoglio, papa sudamericano figlio di emigrati piemontesi in landa Argentina nata dal jus soli, fa una lectio del tutto arbitraria in nome di un non meglio specificato bene superiore dell’uomo. Il retroterra dell’ottuagenario pontefice lo rende incredibilmente dimentico del fatto che inserire la parabola della Natività nell’attuale diatriba sul diritto alla cittadinanza si pone come qualcosa di stridente ed addirittura blasfemo.
Forte di provenienza da una terra creata da italiani, indios ed ispanici, Bergoglio vorrebbe adunque parametrare la popolazione sudamericana d’origine europea e quella amerindia a quella autoctona di un paese di tradizioni millenarie. Vorrebbe dunque operare un’ardita equiparazione tra le regole di appartenenza ad un paese nato dall’immigrazione negli ultimi trecento anni a quella di appartenenza ad uno dei centri storico-politici del continente più vecchio del mondo. Ciò stride vuoi dal lato religioso, ma vuoi ancor di più per chi (come lo scrivente) è scevro di un’identità religiosa, dal lato storico-politico.
La mistificazione di Francesco sul “Gesù immigrato”.
Il papa nella Messa natalizia ha affermato: «Nei passi di Maria e Giuseppe quelli dei “migranti“… Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza». Forti le reazioni in una parte del mondo culturale.
Chi scrive non può che condividere lo sbigottimento e riportare, tra gli altri, ciò che afferma l’editore Arianna di Bologna: “Che la mistificazione in merito sia esercitata da atei ideologici, atei devoti o atei pratici, non stupisce, ma quando la falsificazione è dello stesso Papa, ci si può chiedere legittimamente a quale religione appartenga il pontefice. Gesù, sua madre e il padre Giuseppe non stavano “migrando”, ma, da sudditi dell’Impero romano si stavano recando da Nazareth, dov’erano residenti, a Betlemme, in occasione del “primo censimento” di Quirinio (2,1-5), legato di Siria.
Le fonti storiche.
Così infatti specificano Luca 2:1-7 e lo storico ebreo Flavio Giuseppe (Cfr. Antichità giudaiche, 18,1,1). E non era neppure un “senzatetto”: semplicemente, non trovando alloggio a Betlemme, i genitori di Gesù si accontentarono di dormire in una stalla adiacente ad una locanda, dove il piccolo nascerà, con evidente significato epifanico. La casa, tuttavia, c’era, e stava a Nazareth.
Non si sarebbero mai spostati per loro volontà dal loro focolare, lo fecero per dovere. Gesù sarà mai immigrato? No, caso mai “rifugiato“, quando dovette fuggire tempo dopo in Egitto per sfuggire alla “Strage degli innocenti” di Erode. Ma, appena le acque si calmarono, Giuseppe ritornerà a casa con la Madonna e il figlio Gesù Cristo…”.
Non solo ingerenze vaticane sul jus soli.
Mentre Bergoglio sostiene a spada tratta la nefanda battaglia per il jus soli, il Senato ha fatto naufragare il progetto di legge in questione, che, stante il presto scioglimento delle Camere, tornerà al centro del dibattito politico ufficiale italiano soltanto a partire dalla prossima legislatura. Intanto, però, le ingerenze straniere ed extranazionali si moltiplicano: oltre a quella del Vaticano, sopra di tutte si pone quella dell’Unesco, agenzia ONU, che ha condannato ufficialmente l’Italia per la mancata approvazione della legge che conferisce la cittadinanza ai nati in territorio italiano.
Qual era invece la posizione della Chiesa appena 5 anni or sono?
“Ogni Stato – scriveva Ratzinger – ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana”. Il pontefice evidenziava il “diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. Altrimenti, “invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa un ‘calvario’ per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria”.
In questo scenario, il ruolo della Chiesa e degli organismi cattolici dovrebbe essere quello di favorire “l’autentica integrazione”, evitando il rischio di assistenzialismo.
Correva l’anno 2012.
Nella visione dei papi, quello regnante (il papa è l’ultimo monarca assoluto di uno stato nazionale: Città del Vaticano) e quello emerito, si scontrano nettamente il senso critico ammantato di cultura e riflessione pratica di Ratzinger, contro il buonismo globalista e modaiolo bergogliano.
Nell’omelia di Natale è palesemente serbata, anche se ci sarà chi tenterà di negarlo, una vera e propria campagna pubblicitaria per il jus soli: “Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza”.
Come ci ricorda un gentile lettore di Elzeviro, legge del cuore (Hegel) e batticuore per l’umanità (ancora Hegel) non servono a nulla, senza considerare gli obiettivi rapporti di forza: i quali ci dicono che dare la cittadinanza a tutti è il primo passo per annichilire il concetto di cittadinanza e renderci tutti schiavi apolidi e migranti.
La mondializzazione non vuole rendere cittadino chi ancora non lo è. Vuole rendere non-cittadino chi ancora lo è. Questo il punto. Insomma, l’omelia di Francesco, stavolta, sembra ispirarsi a Soros, più che a Cristo.