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Primarie e manifestazione antirazzista: c’è davvero da festeggiare?

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I grandi organi d’informazione (sempre più conniventi) parlano di due grandi successi. Peccato per l’affluenza in calo e per il totale silenzio sulla manifestazione panafricanista di Roma.

 

E’ stato un weekend di festa per il popolo della sinistra italiana. Un weekend caratterizzato da numerose manifestazioni di giubilo, come la parata antirazzista nel centro di Milano prima e le tanto attese primarie il giorno seguente, culminate con l’incoronazione di Nicola Zingaretti come nuovo segretario del PD. Un fine settimana descritto da gran parte dei media come il simbolo del riscatto di un’intera corrente, la quale ha rialzato la testa dopo mesi di oblio, sconfitte ed umiliazioni; una ricostruzione frettolosa e superficiale a dire il vero, che viene ridimensionata non appena si varca la porta che conduce al mondo dei grandi.

Basterebbe prendersi il disturbo di contestualizzare questi eventi, per capire come la summenzionata due giorni di riscossa abbia la stessa consistenza di una bolla di sapone (dentro la quale la grande famiglia progressista si è trincerata). Non è stato altro se non un successo illusorio privo di alcun riscontro pratico; 48 ore di vanaglorioso autocompiacimento costruite ad hoc per convincere sé stessi di essere ancora giovani, vitali ed importanti come un tempo, alla stregua di una grande riunione della classe del liceo a 30 anni di distanza.

 

Temi vecchi e scarsa affluenza

Senza bisogno di scomodarsi sugli indici di gradimento – che non mostrano nessun segnale di crescita – o sugli ultimi insuccessi nelle elezioni regionali (offuscati solo dalla ancor più clamorosa débacle dei grillini), basterebbe una mera analisi razionale del tanto decantato fine settimana per chiedersi cosa ci sia da festeggiare. “Il grande valzer della democrazia” non ha solo sancito la vittoria di un segretario con un’agenda politica pregna degli stessi temi – europeismo, privatizzazioni e ripristino del vecchio approccio al problema migratorio –  sui quali il renzismo è stato sconfitto, ma ha anche evidenziato molte altre criticità.

Innanzitutto la fragilità strutturale del sistema delle primarie, come la quasi totale assenza di controlli e i requisiti quantomeno discutibili per allargare il più possibile la platea dell’elettorato attivo. In secondo luogo, non si può non riscontrare una singolare discrepanza tra le celebrazioni in pompa magna per l’affluenza ed i dati concreti: quella di domenica è stata infatti la partecipazione più bassa negli ultimi 15 anni. Si tratta di un calo progressivo, in perfetta continuità con le tornate precedenti e pertanto non imputabile solo a queste primarie, ma si fatica a capire le ragioni dell’entusiasmo che aleggia attorno a questo 1,7 milioni di elettori (persino l’ormai esautorato Renzi del 2017 ne fece registrare leggermente di più).

 

La connivenza mediatica

Se l’euforia degli esponenti del partito, dopotutto, fa parte del mestiere, ciò che lascia davvero perplessi è il fatto che il nostro apparato mediatico abbia riportato, paro paro, la stessa identica analisi fornita dalla comunità progressista. Come se non ci fosse già una sfiducia diffusa e crescente nei confronti degli operatori dell’informazione, ancora una volta questi ultimi hanno dimostrato il loro ormai spudorato legame di connivenza con una precisa realtà politica, laddove il messaggio del partito prevale su una ricostruzione obiettiva ed equidistante di dati, informazioni ed eventi.

L’ennesima dimostrazione tanto dell’egemonia culturale nel mondo dei media più autorevoli, quanto del ruolo di opposizione politica ricoperto da certi organi d’informazione, è stata fornita proprio durante il weekend del riscatto liberal. In concomitanza con la manifestazione antirazzista milanese infatti, le comunità africane presenti nel nostro paese hanno sfilato compatte nel centro di Roma, per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulla principale causa del caos e del sottosviluppo di una parte del continente nero: il neocolonialismo francese.

 

La manifestazione romana (oscurata)

Uno scatto della manifestazione contro il neocolonialismo francese

Un evento che non solo non ha avuto lo stesso risalto della parata meneghina (il monopolio delle prime pagine), ma è stato del tutto ignorato. Un oscurantismo assolutamente logico, che riflette le caratteristiche di due diversi approcci rispetto al dissesto africano. Da una parte c’è una corrente che – in nome di un non meglio precisato progresso – farnetica di apertura delle frontiere, di migrazioni senza limiti, di un’accoglienza indiscriminata, di un’integrazione e di un antirazzismo  che non sono altro se non strumenti per provare la propria umanità e fingersi ancora “di sinistra”: in buona sostanza, un approccio in cui il migrante è semplice merce per pulirsi la coscienza e non si formulano soluzioni per stabilizzare i paesi di provenienza.

Dall’altra invece, c’è un popolo che rivendica la propria sovranità politico-economica, il diritto all’autodeterminazione e il desiderio di poter vivere dignitosamente a casa propria (o almeno di poter scegliere se farlo o meno). Ricette pericolosamente sovraniste, che potrebbero screditare la narrazione dominante sul sogno africano. Ricette che è meglio lasciare nell’ombra, ma dichiarandoci tutti orgogliosamente antirazzisti.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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